Kitaro Nishida: Luogo

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Nel saggio Luogo del 1927, edito da Mimesis, Kitaro Nishida riesce ad inserire, in modo peculiare, nella discussione filosofica l’esperienza di pensiero della tradizione orientale. Questo saggio inaugura la fase più creativa della produzione nishidiana.

 

Titolo: Luogo

Autore: Kitaro Nishida

Editore: Mimesis

Anno I ed: 2012

Kitaro Nishida (1870-1945) è il filosofo giapponese più noto ed influente all’interno e fuori del Giappone, è considerato il fondatore della filosofia giapponese moderna.

In Luogo è in questione il gioco tra vedente e veduto, soggetto e oggetto; e il luogo si presenta come qualcosa che non è né soggetto né oggetto, ma che completamente inoggettivabile, difficile ed oscuro, come la chora platonica, lascia essere entro sé soggetto e oggetto, Io e Non-Io. Tramite il concetto di luogo, Nishida intende cogliere quella «coscienza cosciente» che il pensiero moderno sembra non  essere riuscito a prendere in considerazione, perché ha trattato la coscienza riducendola ad un oggetto tra gli altri.

La coscienza in quanto «agente» è la coscienza del campo di coscienza il cui vertice è la volontà. In quanto coscienza messa a coscienza e oggettivata deve «essere-in», in un luogo ultimo che però, proprio in quanto tale, non è oggettivabile né conoscibile. Nishida lo pensa come intuire, un vedere senza vedente, luogo di assoluto nulla o sfondo inafferrabile, incontenibile.

Luogo è uno specchio che rispecchia. «Rispecchiare» vuol dire lasciare che si costituiscano le forme delle cose così come sono senza deformarle, accoglierle così come sono. Ciò che rispecchia lascia che le cose siano al suo interno, ma non  è qualcosa che agisce rispetto ad esse. Luogo non è sostanza, non è oggetto di un dire; è lo sfondo delle cose, ma non il fondamento. Il pensiero può racchiuderlo in un detto solo in modo analogico, anche l’espressione «luogo» resta metaforica, poiché è una parola e intanto tale non può pretendere di esaurire l’infinito accadere del mondo. Anche parlare di «metafora» può condurre all’errore.

I vari campi semantici, utilizzati da Nishida, di vedere, di rispecchiare, di sfondo e di un luogo difficile da definire rimandano a ciò che Derrida dice a proposito di chora, «essa è più situante che situata […], è condizione del darsi di spazio e tempo, dell’accadere dei fenomeni […], essa riceve per dare luogo».
Il discorso di Nishida sembra saper legare insieme la filosofia orientale, in particolare si avvicina molto al tipo di esperienza della pratica zen, e la filosofia occidentale lasciando intravedere riferimenti a diversi autori e testi, da Platone a Hegel, da Eckhart a Spinoza; si sente anche l’eco di Brentano e Husserl. Interessanti e significative le incidenze con il pensiero derridiano.

Se punto di partenza per Nishida è Platone, suo costante interlocutore è Kant. Nishida è debitore del pensiero greco, in particolare del pensiero di Platone e del suo concetto di Chora. Ma non meno debitore del pensiero moderno: Kant, per via del suo concetto di cosa in sé, è tenuto continuamente sotto accusa da Nishida, il quale riesce ad elaborare una filosofia che non rimane incagliata nelle aporie che anche i post-kantiani non riuscivano a districare. La metafisica, fino ad oggi, ha cercato l’essere nella direzione del soggetto e anche le metafisiche post-kantiane non si sono liberate da questo approccio. Nishida si chiede se non sia possibile una nuova metafisica riconoscendo ciò che è trascendente nella direzione del predicato.    

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Autore

Cristiana De Santis

«Mi sono convinto che anche quando tutto è o pare perduto, bisogna rimettersi tranquillamente all’opera, ricominciare dall’inizio. Mi sono convinto che bisogna sempre contare solo su se stessi e sulle proprie forze; non attendersi niente da nessuno e quindi non procurarsi delusioni. Che occorre proporsi di fare solo ciò che si sa e si può fare e andare avanti per la propria via. La mia posizione morale è ottima: chi mi crede un satanasso, chi mi crede quasi un santo. Io non voglio fare né il martire né l’eroe. Credo di essere semplicemente un uomo medio, che ha le sue convinzioni profonde, e che non le baratta per niente al mondo». Antonio Gramsci, Lettere dal carcere.

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