IGOR KITZBERGER, L’ACCHIAPPA-EMOZIONI

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«Tu prova ad avere un mondo nel cuore/ e non riesci ad esprimerlo con le parole»: se Fabrizio De Andrè cantava l’inconsistenza del linguaggio nel descrivere la sensibilità umana, Igor Kitzberger riesce a catturare il pathos universale dell’uomo attraverso un’elegante delicatezza, tutta racchiusa nelle sue sculture, esposte fino a settembre nella Casina delle Civette di Villa Torlonia.

Giocolieri, danzatori, musicanti e uccelli sono l’espressione energica della vita che si plasma da sé: la materia è semplicemente il sostrato con cui le emozioni e i sentimenti, autentici e soli protagonisti delle opere, comunicano melanconici e nostalgici con l’animo di chi osserva, senza svelare mai la verità. Grottesche e simili a maschere africane, le sculture, pur avvalendosi di un’aurea misteriosa – in quanto non si identificano mai con soggetti umani o animali -, colpiscono dritto al cuore dello spettatore, che diviene il tramite di un confronto/scontro tra la sua più propria interiorità e l’universale poliedricità affettiva dell’essere umano, colta nella leggiadria del ferro e del bronzo dell’artista ceco. Pur lavorando infatti con materiali pesanti, Kitzberger dona a tutte le sue opere leggerezza e dinamismo: modellando il ferro e il bronzo con il fuoco, l’artista ottiene sottili linee curve, dolcemente sinuose e morbide, che fotografano, ad esempio nel ciclo dei Danzatori, il momento esatto in cui l’anima si libra verso la libertà, nella ricerca spasmodica di un oltre infinito.

Rapiti dai loro gesti, ci fermiamo e perdiamo nei loro movimenti, riconoscendone i sentimenti evocati: catturati armoniosamente in quell’attimo, non cogliamo più la forma d’arte, ma percepiamo quell’istante di libertà dentro noi stessi. Il processo emozionale identificativo tra spettatore e creazione scultorea continua anche nei Giocolieri, opere in cui Kitzberger lega alla scheletrica e stilizzata corporeità umana, – sempre in torsione, o piegata su se stessa -, l’immagine della pienezza sferica: essa è l’emblema della consapevolezza della vita che deve essere accolta, sostenuta con fermezza nelle esili e morenti dita di un uomo-non umano.

L’apice della lotta tra l’essere umano e la sua interiorità si concretizza nell’opera Paganini, manifesto dell’essenza artistica di Kitzberger: l’esile corpo bronzeo del musicista, immobilizzato nelle linee curve e sottili, si trasfigura in un rapido e scattoso dinamismo plastico attraverso la presenza delle corde del violino, che inglobano e coprono il viso del musicante. L’uomo diventa allora cadavere perché la musica si impossessa di lui: a sprigionarsi nell’atmosfera è la sonorità stessa, le note evocative di sogni e chimere in costante equilibrio con la realtà. Ansie e paure, gioie e dolori, l’idea stessa di emozione, come momento universale, sono visibili e tangibili in ognuna delle sculture, al punto tale che esse suscitano empatia e fanno sorgere il dubbio che anche noi potenzialmente potremmo essere giocolieri della vita e musicanti delle nostre emozioni.

La grandezza di Kitzberger sta infatti nel bloccare il sensibile, come sentimento tout court e non come momento della carnalità umana, nell’attimo esatto in cui è all’apice del furore vitale, del respiro più profondo: solo così, fermato nel suo dimenarsi contro la finitezza, vivrà per sempre.

MATERIA UMANA. L’insostenibile leggerezza nella scultura di Igor Kitzberger

Casina delle Civitte, Villa Torlonia, Roma, dal 28 giugno al 9 settembre 2012

In foto: Paganini, 2011, bronzo, cm 40

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Autore

Valentina Cucchiaroni

Caporedattrice della sezione Arte di Nucleo Artzine, appassionata della scena artistica contemporanea, ha studiato filosofia teoretica alla Sapienza di Roma.

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