Kula Shaker|Villa Ada
Artista: Kula Shaker
Dove: Villa Ada – Roma Incontra il Mondo
Quando: 15 luglio 2016
Foto Report: Ivan Novelli
Venerdì 15 luglio sull’isolotto di Villa Ada sbarcano i Kula Shaker per presentare, quasi simbolicamente a vent’anni di distanza dall’esordio con K, il loro ultimo lavoro: K2.0.
La formazione, ad eccezione di Harry Broadbent che ha sostituito Jay Darlington alle tastiere nel 2006, è quella originaria: Alonza Bevan (basso), Paul Winterhart (batteria) e il sempre più “yogico” frontman Crispian Mills (chitarra e voce).
Un’autunnale serata estiva e il profumo di incensi indiani colorano l’atmosfera e accompagnano, insieme alle note di una rivisitata Radhe Radhe (da Peasants, pigs and Astronauts), l’ingresso della band sul palco.
È un tuffo nel passato. Mills e co. attingono prevalentemente dai primi due dischi, tralasciando del tutto Strange Folk e regalandoci unicamente Ophelia da Pilgrisms Progress resa particolarmente evocativa dal suo efficace intreccio di chitarre (il tastierista accompagna Mills con l’acustica).
Ma il variegato sound dei Kula Shaker, sempre fortemente caratterizzato dalla presenza della musica tradizionale indiana, sembra assumere in questo live una diversa fisionomia. L’india tende a rimanere sullo sfondo, confinata nelle melodie vocali, nei fraseggi di chitarra e organo e nelle sequenze lanciate dal batterista.
La nostalgia è soprattutto per i meticolosi arrangiamenti armonici dei dischi e ci si chiede dove siano finite le straordinarie combinazioni di Sitar, Tampura e i geometrici incastri ritmici delle Tabla. Decisamente più incisivi e preponderanti risultano invece la sinergia tra basso e batteria e i colori psichedelici di chitarra e organo che purtroppo però non emergono come dovrebbero.
La band, complici sicuramente un volume contenuto e la voce un po’ stanca di Mills (probabilmente affaticato dal live della sera precedente), sembra fluttuare sospesa in una bolla e non riesce a rompere del tutto la barriera con un pubblico che rimane composto ad eccezione del tradizionale momento di chiusura con Govinda (il suo mantra rigorosamente in sanscrito convince tutti a cantare).
Sorprende e colpisce la dylaniana 33 crows che regala uno dei momenti più intimi ed emozionanti del concerto.