Alla Casa delle Culture, dall’8 al 20 gennaio, debutta la produzione interna de La cantatrice calva, di Eugène Ionesco, a opera della compagnia Ginepro Nannelli.
La cantatrice calva
di: Eugène Ionesco Regia: Marco Carlaccini Con: Marco Carlaccini, Patrizia D’Orsi, Claudio Capecelatro, Sara Poledrelli, Childa Lapardhaja, Ludovico Nolfi Interventi sonori: Claudio Rovagna Scene: Antonio Belardi Costumi: Antonella D’Orsi Massimo Disegno luci: Giuseppe Romanelli Interprete vicario in prova: Paolo Parnasi Aiuto regia: Valentina CasadeiDall’8 al 20 gennaio 2013 – Casa delle Culture, Roma
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Francese d’adozione, il rumeno Eugène Ionesco decise un giorno di imparare l’inglese e acquistò un manuale di conversazione. Ripetendo le frasi del manuale, si accorse di quanto fossero banali le frasi ritenute da conversazione. Da ciò trasse ispirazione per La cantatrice calva, commedia – o anti-commedia, come la definì lui stesso – che alla prima messa in scena destò più di una perplessità nel pubblico e nella critica, salvo poi essere acclamata, cinque anni dopo, come un capolavoro di portata mondiale.
La commedia prende di mira i costumi della società borghese o, a ben guardare, l’approccio alla vita di chi non si fermi a osservare con un pizzico di curiosità ciò che lo circonda, indipendentemente dal proprio ceto sociale. Emergono la banalità delle conversazioni, appunto; ma anche l’assenza di un vero e proprio ascolto, l’incapacità di conoscere anche superficialmente il proprio compagno di una vita, l’accontentarsi di conoscere il mondo restando seduti in poltrona a casa propria – fino a diventare delle poltrone umane, come ironicamente sottolineano i costumi di Antonella D’Orsi Massimo -; il tutto inframmezzato da episodi comici, assurdi o volutamente contraddittori: poiché è una non-vita, nulla ha senso in una vita del genere – neanche il titolo, che fa riferimento a una battuta di nessuna conseguenza.
Il testo – apparentemente semplice nella sua ostentata assurdità – nasconde ben più di un’insidia per chi volesse rappresentarlo: parco di azione, presenta un’assenza quasi totale di caratterizzazioni – anzi, l’interscambiabilità dei personaggi principali è ciò su cui batte -, dialoghi spesso non-sense e una trama che, a ben guardare, tutto è tranne che una trama. L’assenza di azione, in particolare, rende impossibile rappresentarlo efficacemente attenendosi alla mera lettera del copione – pena la noia dello spettatore dopo pochi minuti – e ciò costringe regista e interpreti a trovare una chiave di lettura personale ma ben precisa. Vigore, istrionicità e giochi di movimento stanno alla base di quella della compagnia Ginepro Nannelli, che non a caso si esalta nel crescendo finale – monco dell’ultimissimo quadro previsto dal testo originale; ma non senza motivo, vista la chiave interpretativa adottata -, quando il pendolo perde persino le lancette e i personaggi parlano e si muovono come delle marionette impazzite, svelando il vuoto custodito da certe modalità d’esistenza.