Il lavoro di Maurizio Panici dichiara come l’Antigone di J.Anouilh sia la tragedia dell’oggi moderno, dell’inevitabilità caustica e di certe proiezioni esistenziali di causa-effetto come il maschile e il femminile, la sfera dell’intimità privata e della profanazione pubblica, della vecchiaia e della giovinezza.
Un gioco di direzione scenica che ibrida momenti di scrittura epica e dialoghi minimizzati dall’efferatezza del nostro quotidiano parlare, e di partiture prossemiche che si accordano all’immagine di una cavea buia e profonda.
Come menzionato tra le prime righe c’è un dichiarare, una dichiarazione di teatro compresa all’interno della scatola-contenitore che reclama una lucentezza nella rappresentazione, nonostante il cavernoso contenuto, dal prologo fino ad arrivare a dinamiche conflittuali che risultano continui rovesci di medaglia. È il caso di Creonte-Antigone, ovvero la legge della polis contro la legge non scritta (OIKOS).
Il tutto avviene nello spazio dislocato di un non-luogo, lo stesso che in codifica di ricerca simbolica lo rende luogo (in)definito, con respiri che rimandano ad alcune teorie steineriane sullo stato personaggio e il calore interno da esso rappresentato.
C’è nel tentativo di regia qualcosa che invoca l’Assoluto, che grida il segno forte capace di indirizzare gli attori ad una volontà d’agire-reagire acquietante, favorevole solo e unicamente al dilagare tragico della parola.