Ideazione, Regia, Coreografia Pera Tantiñá (La Fura Dels Baus) Regia E Realizzazione Video Esterina Zarillo
Con Meritxell Esteban, Sabina Pérez, Nathalie Pierrehumbert, Ramón Tarés, Agustina Zaballa
Musiche La Fura Dels Baus, Young Joo Lee (Las Tres Diosas, Zeus, Partida De Helena) Jules Maxwell (Nacimiento De Helena), Carles López / Pau Tantiñá / Pau Domingo (Paris)
Rigging Anigami
Luci Jaime Llerins Produzione/Production La Fura Dels Baus 13 Giugno, Mostra di Oltremare, Napoli Teatro Festival 2015
Architetture corporee volanti, donne-bozzolo appese a una gru, giganti marionette; Afrodita y el juicio de Paris/Afrodita e il giudizio di Paride, spettacolo della Fura dels Baus – storico gruppo spagnolo fondato negli anni Ottanta da Marcel Lì Antunez Roca e da lui diretto sino al 1990 – è un evento performativo che dipinge un’espressione di stupore e meraviglia sui volti delle centinaia di persone presenti nello spazio della Mostra di Oltremare in un afoso sabato di Giugno.
Il gigantismo e il colorismo della performance appaiono i tratti dominanti dell’Afrodita; li ritroviamo nella voluta sproporzione gulliveriana tra gli spettatori e il mega-burattino, nella traslitterazione dello spettacolo in acrobazia aerea con i performers sospesi nell’aria su dei praticabili simili a gabbie medievali, talmente in alto che per guardarli bisogna sollevare lo sguardo, come se si guardasse un meteorite cadere.
Ma non precipita oggetto o corpo alcuno, seppur se ne avverta la tensione; non è esente il pericolo dalla prova di abilità e di coraggio dei performers, condotta attraverso l’abbandono del suolo, resi macchie nella notte, sagome componenti disegni geometrici tra gli applausi della folla. Sul palco, costituente solo una minima frazione dell’apparato spettacolare, si trovano degli interpreti adolescenti in bianco deridente neoclassico, che danzano ed effettuano una pantomima illustrata da una voce fuori campo in italiano, che unisce la narrazione del mito del “pomo d’oro” – lanciato durante un banchetto dalla dea della discordia Eris, da contendersi tra le divinità Afrodite, Era ed Atena a giudizio del pastorello Paride, che al posto di Zeus è tenuto a decidere chi di loro sia “la più bella” – a frammenti di pura poesia, accompagnata dalle liriche viventi che vediamo materializzarsi senza alcuna gerarchia prospettica, nell’incitamento al “mantenere viva la fiamma che brucia”, come una fiaccola rituale, fuoco sacro di un rito pagano.
Le figure aeree, che orbitano appese a degli ingombranti e imponenti macchinari, tra le quali ritroviamo Afrodita stessa che esce da un bozzolo pieno d’acqua trainata da una gru che la trasporta su un palco, danzano a ritmo techno, illuminate da luci proprie a un concerto pop più che a un evento teatrale. Gli oggetti-simbolo sono ingigantiti e maneggiati come pericolosi congegni: la mela del peccato è grande quanto una testa di elefante, il cavallo alato dotato di fiaccole e le cui zampe sono le gambe dei performers è letteralmente volante, altre divinità giungono al ‘giudizio’ in una carrozza che è una specie di enorme palla roteante anch’essa dotata di fiaccole e fuochirazzo. Il tutto ritmato da puntuali scoppi di fuochi d’artificio. Siamo alla cerimonia inaugurale delle Olimpiadi? No, ma lo spirito è quello; evento risalente a un’epoca nella quale non esisteva la massa, ma grossi raggruppamenti di persone che potevano riconoscere in un sistema di simboli un linguaggio comune, non alfabetizzato.
La videoarte sostituisce delle quinte dipinte – è proiettato il tetro APPLE OF DISCORD di Esterina Zarrillo – a rappresentare un ritorno all’arcaico nel contemporaneo, tralasciando il discorso verbale e prediligendo quello performativo. La radice estetica di un teatro urbano in origine marginale (quelli de La Fura vennero infatti definiti “i teppisti dell’underground“), tra il Bread and Puppet theatre (come osserva giustamente Enrico Fiore su Il Mattino, 15/06/2015) e i Mutoid, è da riscontrarsi nel ritenere l’istituzione teatrale troppo ristretta per accogliere le potenzialità visive di una narrazione, nel suo universalizzarsi rendendosi surreale e magniloquente festa, dove la statua-marionetta della divinità è volutamente incompiuta (se ne vede lo scheletro di ferro) come ad esprimere l’assenza del divino da celebrare, sostituito dalla sfrontatezza della sfida dei corpi-macchina, all’insegna di un prometeismo performativo, fuori dal teatro, dentro lo sguardo.