La leggenda di Kaspar Hauser, di D. Manuli, Ita 2012, 87′ B/N
Presentato all’Agis il 6 giugno 2013 alla presenza del regista Davide Manuli, La leggenda di Kaspar Hauser va ben oltre la semplice trasposizione della nota vicenda del giovante tedesco. Il film, molto apprezzato in alcuni paesi stranieri, ha ricevuto premi e menzioni in festival internazionali.
in uscita nelle sale cinematografiche il 13 giugno 2013
Soggetto e Sceneggiatura: Davide Manuli Fotografia: Tarek Ben Abdallah Montaggio: Rosella Mocci Suono: Francesco Liotard Musiche originali: Vitalic Scenografia: Giampietro Preziosa Produzione: Blue Film e Shooting Hope Productions in collaborazione con Fourlab Distribuzione: Mediaplex in collaborazione con Cineama Interpreti: Vincent Gallo (lo Sceriffo e il Pusher), Silvia Calderoni (Kaspar Hauser), Elisa Sednaoui (la Veggente), Fabrizio Gifuni (il Prete), Marco Lampis (il Drago), Claudia Gerini (la Granduchessa) Premi: San Francisco Independent Film Festival 2013 – Jury Award Best Narrative Film Tous Ecrans – Geneve International Film Festival – Mention Jury of the Youth Arizona Underground Film Festival – Best Experimental FilmL’intensità di una scena: immaginatevi uno sceriffo in pensione che vuole insegnare a un ragazzo provenuto da chissà dove il mestiere di Dj sulle note di Poison Lips di Vitalic in mezzo a una spiaggia della Sardegna: non esiste migliore descrizione dell’ultimo film di Davide Manuli.
La leggenda di Kaspar Hauser si apre con quella che sarà anche l’ultima scena, offrendo così allo spettatore una sua possibile visione circolare: il Pusher – interpretato magistralmente da Vincent Gallo che nel film è anche lo sceriffo – si muove a tempo di musica di fronte a un paesaggio desolato. Sopra di lui passano tre dischi volanti. È extraterrestre il luogo di provenienza di Kaspar? Decisamente no. Nessuno sa da dove il ragazzo provenga; egli arriva, infatti, su un’isola praticamente deserta portato dalle onde del mare.
Quello di Kaspar è un viaggio di sola andata che parte dall’ignoto per giungere in un non luogo generando differenti reazioni: ci troviamo di fronte a un impostore per la Granduchessa, un santo per il Prete, un futuro re per lo Sceriffo. Ma queste non sono nient’altro che semplici interpretazioni contingenti dell’impersonificazione umanoide di una metafisica autistica e insondabile manifestatasi sotto forma di un giovane corpo androgino – l’attrice che veste i panni di Kaspar Hauser è l’ottima Silvia Calderoni dei Motus – sulle cui orecchie sono posate un paio di grandi cuffie e sul cui corpo sono “adagiati” vestiti del famoso marchio con le tre strisce.
«Non c’è un dentro né un fuori, un altro posto che qui» afferma il Prete. Kaspar è dappertutto, è lo stesso nucleo linguisticamente (in)-comunicabile dello spazio vasto e tuttavia solipsistico in cui i protagonisti vivono. Per questo è sorvegliato dalla legge, dallo Sceriffo, che lo dipinge così: «Tu sei il cavaliere danzante!». Ed è vero. Egli è un martire, una figura singolarmente cristologica – è Manuli stesso a sottolineare come il suo approccio sia «steineriano» – che sconfina nel mondo rimanendo confinato nella musica elettronica di Vitalic mentre sogna di diventare un cavaliere come suo padre. Oppure un «cavallo come suo padre» come sostiene, in maniera errata al telefono, il Drago. Ed è proprio da questa frase che è possibile ipotizzare un interessante cortocircuito metaforico: Kaspar ha un sogno utopico. Non possiamo non notare come il suo personaggio possa identificarsi con quello di un povero mulo – con un riferimento all’asino di Au hasard Balthazar di Bresson? –, ossia l’incrocio tra un asino stallone e una femmina di cavallo. L’anelare la fantomatica trasformazione in cavallo diviene allora l’espressione di una condizione “geneticamente e genealogicamente” impossibile da raggiungere. Non a caso, il cadavere di Kaspar porta sulla testa, mentre viene trasportato al centro del paese con una carriola, proprio la testa di un mulo. La sua morte è il semplice ripristino delle condizioni vigenti prima del suo arrivo attuato dall’Alter-ego dello sceriffo, il Pusher, l’essere fuori-legge che legifera con la pistola sancendo il ritorno della non comunità allo stato normale delle cose.
Come in Su re di Columbu la Sardegna si mostra il luogo di una storia drammatica che si configura aldilà dello spazio, del tempo e del linguaggio. L’astratto si sporca le mani facendosi lettura terrestre di una leggenda mediante un ottimo uso di ottiche larghe, piani sequenza e una fotografia in un bianco e nero che sembra provenire dagli inizi del Novecento. Manuli afferma che il suo film è «retrò-futurista. 90 minuti di non senso al cui interno vi è molto senso». Al regista non interessava «riprendere letteralmente la leggenda come aveva fatto Herzog, ma costruire un film, sul filone di Beket, attraverso una visione archetipica e surreale».
Un obiettivo perfettamente raggiunto al cui fondo vi è una solida certezza: Io sono… Kaspar Hauser.
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