La mostra I ghetti nazisti viene presentata giovedì 26 gennaio.
Ci si aspetta una conferenza stampa consueta, con sedie, giornalisti, televisione e curatori intenti a spiegare il perché e il come della realizzazione dell’evento. E invece non è così.
Marcello Pezzetti, curatore insieme a Bruno Vespa e Sara Berger, attende il pubblico della stampa all’interno dello spazio del Vittoriano dedicato alla mostra, per attraversarla insieme e farla vivere in un modo più naturale. Si entra così in uno dei ghetti nazisti istituiti in Polonia tra il 1939 e il 1941, non soltanto attraverso la realistica scenografia messa in piedi dagli addetti di Cinecittà, ma anche grazie a una raccolta di testimonianze, fotografie e molto altro: materiale originale e mai visto in Italia. Le quattro sezioni in cui si divide la mostra ricreano tutto il percorso dell’istituzione ghetto, dalla creazione alla liquidazione, passando attraverso la vita e il riflesso che produceva; un percorso pilotato, ovviamente, dai nazisti.
I ghetti erano isolati, erano un’inclusione esclusiva nella città; i loro abitanti non avevano alcun contatto con persone che non facevano parte del ghetto. La popolazione al suo interno era maltrattata, umiliata, soffriva la fame, era soggetta a regolamenti e restrizioni, costretta a lavorare e a mantenere livelli alti di produzione; una popolazione catalogata, identificata attraverso fascette poste al braccio con stelle di David: se c’è bisogno del segno distintivo è perché ad occhio nudo non possiamo riconoscere alcuna differenza. Non c’è e non ci sarà mai differenza.
La storia ci insegna, tuttavia, che l’uomo è uno degli esseri viventi meno arrendevoli. La vita nel ghetto continua, gli abitanti cercano di resistere, ricercano una normalità legata alla cultura, alla religione, il tutto mosso dalla speranza di poter andare/ritornare nella loro Terra Santa.
Uno degli aspetti che colpisce di più è il pensare come i nazisti abbiano potuto convincere la popolazione europea non ebrea a considerare i non ariani come qualcosa che non abbia diritto alla vita. La propaganda, in questo caso, fu determinante e la mostra affronta anche questo tema sotto vari aspetti -ogni qualvolta un bambino moriva nelle strade, soprattutto di fame, c’era un fotografo nazista ad immortalare l’accaduto, a dimostrazione del “fatto” che gli ebrei lasciassero morire i bambini in condizioni indecenti-: filmati e foto di vita quotidiana, di persone vestite con abiti lussuosi e di bambini che giocavano a calcio, per far sembrare gli ebrei una classe privilegiata, quindi una minaccia.
Viene descritto anche qualcosa di non molto conosciuto, come la resistenza ebraica armata. I membri sono consapevoli che moriranno, così decidono di morire resistendo, decidono di morire in altro modo.
Non sveliamo altri particolari, è una mostra che deve essere assolutamente visitata, vissuta e capita, inserita all’interno delle celebrazioni realizzate per la Giornata della Memoria, e, a tal proposito, l’organizzazione ha ben pensato di formare un team di giovani che possano accompagnare gruppi scolastici e non solo attraverso il percorso, gratuitamente, prenotandosi a questo numero 0699700929.
I GHETTI NAZISTI
Dal 27 gennaio al 4 marzo 2012 – Complesso Monumentale del Vittoriano, Roma
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