Primero erscht. A sipario aperto, i danzatori aspettano noncuranti che il pubblico si accomodi. Su invito del clarinetto, saltano tutti sul tappeto verde: il tappeto dei ricordi.
Un uomo ordina di muoversi ai mobili antichi di un salotto di famiglia. Siamo proiettati nel potenziale inconscio di ognuno di noi. Il tempo è quello del sogno: si percepisce a tratti, nella pendola simulata dalle lunghe gambe di una danzatrice, aggrappata ad un armadio.
Ognuno ha la sua storia da raccontare, intrecciando voce e gesto. Le prime volte … le abbiamo avute tutti. Chi guardare? In chi immedesimarsi? Su e giù per il grande tappeto, sono tutti affaccendati nel ricordare la loro infanzia.
Si buttano a peso morto, si coprono gli occhi, tremano. Ora respirano affannati a ritmo di musica, in una danza del lamento; ora si chiudono in uno stretto cerchio e, scoperti, sorridono con un lampo malizioso negli occhi, come bambini, che hanno rubato il barattolo di marmellata dallo scaffale più alto.
È un film d’altri tempi, in cui psicologia, surrealismo e comicità sono tutt’uno. Se salti fuori dal tappeto la musica si interrompe. Il flashback si ferma, ma con un nuovo salto dentro al tappeto il sogno può ricominciare.
Il venerdì ci si deve occupare delle cose importanti, prendersi cura della famiglia … persino il numero dei passi da poter fare è importante. Ma all’educazione tradizionale subentra prepotentemente il sogno di quello che avremmo voluto fare. Il salotto dell’infanzia viene continuamente scombussolato, in un sistematico disordine, che è specchio del caos insito in ognuno di noi. È la nostra memoria a selezionare i fatti, creando il passato, l’infanzia.
È un continuo di capovolte, giri, svenimenti per la troppa fatica, in un stato delirante e quasi ipnotico. Le urla risvegliano i fantasmi. Si alterano i fatti, sognando di vivere momenti, più intesi, della vita di qualcun altro. Bisogna nascondersi sotto al tappeto verde per avere un attimo di pace. Ma vince la curiosità, che spinge a sbirciare dal nascondiglio.
Al ritmo di una suadente voce che proviene dall’armadio, si rimettono le cose in ordine. Alla fine è tutto solidamente accatastato. E anche l’ultimo cassetto dei ricordi può essere chiuso.
In questa performance i danzatori, eterogenei per stile, alternano energicamente gesto, parola e canto, accompagnati dalla musica klezmer, appositamente composta dal clarinettista, che, onnipresente sulla scena, li guarda con la serafica saggezza di chi sa quanto siano necessarie le nostre esperienze di crescita, con relative peregrinazioni mentali.
Proprio questo hanno in comune i danzatori: la loro individualità, che sono disposti a mettere a nudo, in uno stato di confusione onirica, creando una sottile intimità con gli spettatori.
La forza di questa compagnia sta proprio nel saper valorizzare le potenzialità creative di ogni danzatore, in un percorso coreografico individuale, che finisce inevitabilmente per stimolare il riconoscimento in un altro individuo: la visione panoramica, che ci forniscono, consente lampi di intuizione interiore nello spettacolo della nostra vita.