Presso la confortevole sala cinematografica dell’Anica di Roma si è tenuta il 17 giugno la presentazione stampa del film La quinta stagione, di Peter Brosens e Jessica Woodworth, vincitore del premio Arca Cinema Giovani alla 69° Mostra del Cinema di Venezia, ed acclamato al Festival de Cinema Europeen des Arcs coi prestigiosi premi Cineuropa, per la miglior fotografia e migliore attrice. Attualmente è in selezione ufficiale al Toronto International Film Festival.
La quinta stagione, di P.Brosens e J.Woodworth, Bel/Fra/Ned 2012, 93′
in uscita nelle sale cinematografiche il 27 giugno 2013
Scritto da: Peter Brosens e Jessica Woodworth
Musiche originali: Michel Schōpping
Fotografia: Hans Bruch Jr.
Suono: Pepijn Aben
Scenografia: Igor Gabriel
Costumi: Claudine Tychon
Montaggio: Jessica Woodworth
Design sonoro e missaggio: Michel Schōpping
Distribuzione: Nomad Film
Produttori: Peter Brosens e Jessica Woodworth, Diane Elbaum e Sébastien Delloye, Joop van Wijk e JB Macrander Philippe Avril
Nel villaggio di Weillen, una località isolata nel cuore delle Ardenne, la comunità rurale è dedita al quieto vivere, nel rispetto delle proprie ordinarie attività ed è ormai prossima, come da tradizione, ai festeggiamenti invernali. Improvvisamente una misteriosa calamità si abbatte sul posto, costringendo gli abitanti a terribili sofferenze: i terreni non danno più raccolto, gli allevamenti non producono più beni di consumo, il ciclo delle stagioni è stravolto, con un’estate che sembra non arrivare mai. In un quadro tanto drammatico che non dà cenno di miglioramenti le vite di due adolescenti, Alice e Thomas, si intrecciano nel disperato tentativo di dare un senso alla loro vita.
Il film si struttura in quattro parti, ciascuna in riferimento a una stagione dell’anno. In una continua ascesa di avvenimenti e circostanze allarmanti le condizioni di vita dei residenti e i loro rapporti interpersonali cominciano a mutare sensibilmente. Nel diramarsi degli eventi si percepisce una sorta di chiaroscuro tra la crudezza di una natura irrequieta, portatrice di disgrazie e la dolcezza di un amore giovanile, ultimo baluardo di speranza al quale aggrapparsi nel disperato tentativo di sopravvivere. Di fronte a una natura che si ribella ed è causa di stravolgimento delle vecchie consuetudini e del crollo dei valori fondativi della comunità, gli abitanti modificano la propria psicologia, ora chiudendosi a riccio, incuranti delle disgrazie altrui, ora rimanendo timorosi di fronte all’estraneo e alla voce fuori dal coro che mal si adatta alle comuni usanze.
Ecco come, di fronte a difficoltà apparentemente insormontabili, l’uomo dimostri talvolta la facoltà di sopprimere senza mezze misure le proprie capacità decisionali omologandosi ai più e facendosi corrompere dai luoghi comuni. Emerge così un dato significativo: spesso proprio l’emarginato sociale, incurante delle tradizioni, può essere l’unico in grado di porsi aldilà delle apparenze, con prospettive ben più ampie di chi è offuscato da una realtà culturale limitante.
Trama e tematiche affrontate si uniscono a peculiarità tecniche di massimo rilievo: le musiche riescono a trasmettere, istantaneamente, il senso di disperazione dei personaggi; l’alterata percezione di questi ultimi della natura è come assecondata dalle brillanti composizioni di musica originale, sempre in sintonia con la drammaticità delle scene. Il sapiente dosaggio di piani sequenza al servizio delle immagini e delle inquadrature trasmette ancor di più il senso di una realtà incerta e di sostanziale impotenza di fronte al fluire degli eventi.
Un film che può e dev’essere apprezzato su più livelli, lasciandosi trasportare dall’intreccio della trama e dai suoi simbolismi, e ammirando il montaggio delle scene, reso possibile da un abile utilizzo della macchina da presa e rafforzato nel suo significato da musiche di notevole impatto emotivo.
Il merito va tutto ai due autori, da sempre al servizio di un cinema in grado di colpire lo spettatore andando aldilà della storia che racconta, un po’ come si trattasse di una sinfonia, ovvero – con le parole di Woodworth – «un’esperienza soggettiva e molto personale».
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