Una lunga storia di uomini e donne diversi tra loro. Storie di banditi e briganti, del nord e del sud, a cavallo fra il Cinquecento e l’Unità d’Italia. Enzo Ciconte, docente di Storia della criminalità organizzata presso l’Università di Roma Tre e consulente presso la Commissione parlamentare antimafia, cerca di delineare proprio questa storia.
Una ricerca approfondita, documentata, munita di un ricco repertorio iconografico, di stampe e acquerelli, oltre che delle prime foto di alcuni briganti catturati e uccisi. Un libro con protagonisti banditi e briganti, espressione tipica del proprio tempo e di una parte considerevole della storia italiana.
Quello del brigantaggio è un fenomeno specifico, complesso che mescola rabbia sociale, miseria nera e rancore diffuso, dai quali derivano atti di ribellione generica e di ostilità verso ogni forma di dominio. Atti che cercano di diminuire la marginalità e la povertà delle classi sociali inferiori, sia del meridione che del settentrione del nostro paese. Una storia che parte dal Cinquecento e che termina nell’Ottocento, con una lunga scia di sangue. Una repressione cieca, crudele e selvaggia che pensa di risolvere problemi sociali e politici con il ricorso alle armi, al carcere e alle fucilazioni indiscriminate. Allo stesso tempo viene mostrato come questa repressione nasconda un’altra faccia, ovvero la scelta degli Stati di venire a patti, di scendere a compromessi con i malviventi.
L’autore si propone di dimostrare quanto la tradizione letteraria, facendo presa sull’immaginario collettivo, descriva la figura del bandito come colui che è amato dalla propria gente, generoso verso i poveri e feroce verso i ricchi. Una narrazione letteraria che, dice Ciconte, molto spesso, forza la realtà oggettiva dei fatti storici.
Ciconte cerca di sfatare alcuni falsi miti nati dalla fantasia popolare e alimentati, a proprio uso e consumo, dalla nascente borghesia e dalla propaganda militare; come, ad esempio, quello del legame intrinseco fra il fenomeno del banditismo e l’insorgere di forme associative violente e criminali quali le mafie.
Lo studio sistematico del brigantaggio contesta proprio tale interpretazione che lega le rivolte contadine e il radicamento della ‘ndrangheta: se si osserva la distribuzione dei comuni in cui si sono registrate rivolte ed episodi di brigantaggio, si può cogliere empiricamente come questa non coincida con la rete dei centri in cui si hanno manifestazioni di associazioni di stampo mafioso. Dunque, è ingiusto declinare insieme la protesta sociale con l’emergere dei boss, poiché le associazioni mafiose hanno dimostrato, nel tempo, che la loro vera propensione consiste nell’accumulo di capitali e della costruzione di un sistema di potere e di controllo della vita dei singoli cittadini.
Ci troviamo quindi di fronte a un processo ben lontano da quelle prospettive di lotta al possesso e all’usurpazione delle terre dei ricchi, ovvero da quei procedimentiche hanno generato il fenomeno del brigantaggio. Le mafie rappresentano proprio quel dominio contro cui lo spirito del brigantaggio si ribella.
BANDITI E BRIGANTI. LA RIVOLTA CONTINUA DAL CINQUECENTO ALL’OTTOCENTO
Autore Enzo Ciconte,
Casa editrice Rubbettino Editore, 2011, Soveria Mannelli (Catanzaro). pp.192.