Articolo scritto in collaborazione con Nicola Salerno
Cosimo Alemà – fortunato autore di videoclip musicali italiani di grande successo – approda al Festival del Film di Roma con La Santa, un noir adrenalinico che mescola con successo il pulp al sacrilegio, la psicologia alla superstizione: un film fuori concorso destinato però a lasciare il segno.
La Santa, di C. Alemà, Ita 2013, 90′
Cast: Massimiliano Gallo, Francesco Siciliano, Gianluca Di Gennaro, Michael Schermi, Marianna Di Martino, Lidia Vitale
Meridione, furto e sacrilegio. Sembra la trama di Operazione San Gennaro ma non c’è niente di più lontano. Scordatevi le cartoline cinematografiche alla Benvenuti Al Sud. Nel paesino senza nome e senza luogo in cui Cosimo Alemà ambienta il suo film nessuno è benvenuto, come in un vecchio film western. Non c’è spazio per spaghettate e tarantelle, è un Sud che mostra il suo lato più oscuro, quello selvaggio e passionale, figlio della civiltà della magna Grecia. Tutto è racchiuso tra le mura di un paesello-stato di cui nessuno può rompere gli equilibri, a meno di non voler scatenare l’inferno. La storia si delinea in un deserto psicologico di “paesani” geograficamente onniscienti in cui violenza e omertà, entrambi latenti, esplodono per sfogarsi sullo straniero profanatore del naturale e imperturbabile scorrere delle “cose” del paese.
Quattro forestieri dall’aria losca arrivano in questo misterioso paese il giorno della festa patronale, momento in cui la statua della patrona Santa Vittoria viene portata in processione. Hanno un piano che sembra facile, remunerativo e privo di rischi: rubare la statua della santa, coperta di preziosi. Da perfetti sbandati, si approcciano al colpo privi di qualsiasi “professionismo”. Alla vigilia del colpo fanno bisboccia, alzano il gomito ed elaborano il piano seduti su un muretto della piazza principale. Una ragazza del luogo sembra molto interessata ai loro discorsi vanagloriosi, ma non fa nulla per fermarli e il furto si consuma all’alba del giorno dopo la festa. La reazione dei paesani è però rapida, folle e razionalmente spietata. I quattro sono costretti a dividersi per sfuggire a quella che si trasforma in una violenta caccia all’uomo dove le leggi della strada sostituiscono quelle dello Stato. Ogni componente della banda precipita così in un incubo pompato dall’adrenalina, cacciandosi in un tunnel senza uscita sempre più buio e profondo; lacerato dai pallettoni dei fucili dei paesani e dai demoni personali. I quattro protagonisti, tutti ben delineati nelle loro caratteristiche fisiche e psicologiche, intessono brevissimi rapporti con personaggi che sembrano esser borderline all’interno della logica del paese.
La struttura del plot è ben congegnata, con un ritmo serrato che inchioda alla poltrona e non concede sbadigli all’attenzione. Alemà alla sua opera seconda come lungometraggio esalta la sua storia di regista di videoclip musicali in moltissime inquadrature in cui la colonna sonora s’inserisce con violenza, ribadendo più che accompagnando.
Un risultato assolutamente positivo che fa del film una delle più gradite sorprese del festival, una sorta di pulp in salsa meridionale che esalta la capacità dei registi italiani di fondere insieme la commedia e il drammatico. Un’opera selvaggia che ha saputo racchiudere alla perfezione un cuore profondamente italiano in un guscio evidentemente americano.