Fino al 10 febbraio il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari ospita La seduzione dell’artigianato. Ovvero: il bello e ben fatto, mostra finalizzata ad esaltare la maestria sartoriale italiana.
Titolo: La seduzione dell’artigianato. Ovvero: il bello e ben fatto
a cura di Bonizza Giordani Aragno e Stefano Dominella
Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari
Piazza Guglielmo Marconi 8
fino al 10 febbraioIl bello e il ben fatto. Il fil rouge della sapiente selezione di abiti e accessori simbolo del made in Italy si fa proposta concreta di impiego personale e di rilancio della nostra economia. Bonizza Giordani Aragno, importante storica della moda e Stefano Dominella, vicepresidente di Unindustria per la sezione Tessile, hanno curato una testimonianza suggestiva del duplice carattere della moda: inscindibile dalla tradizione ed essenzialmente proiettata al domani.
La linea espositiva affianca dunque i costumi popolari, patrimonio storico del museo, grazie ai quali l’Italia si guadagnò il primato manifatturiero europeo all’Expo internazionale del 1911, ai capolavori dei più celebri couturier e stilisti italiani. Accanto a quelle dei maestri spiccano, per nulla sminuite, le anime dei nuovi designer, veri eredi della manualità artigiana e dell’estro artistico nostrano. Svelano inoltre le fasi preparatorie di un capo perfetto i progetti delle accademie, degli istituti e delle scuole professionali presenti alla mostra, fucine di giovani talentuosi e capaci, vie d’accesso privilegiate ai mestieri della moda.
La disposizione degli abiti e degli accessori è una forte dichiarazione d’intenti. Lì per lì gli accostamenti spiazzano: che ci fa un costume femminile di Loreto – Marche- del 1910 accanto ad un delizioso Prada 2010? Il secolo che li divide si manifesta nell’identità politica e religiosa incarnata dal primo e nel disegno contemporaneo dell’altro. Eppure la vita stretta, la gonna ampia, anche se con lunghezze diverse, e quel carinissimo ricamo nero intorno al seno, che quasi lo incornicia, avvicinano molto il capo griffato a quello popolare. Potrebbe poi sembrare pretestuoso far seguire alle gioiose borse di Benedetta Bruzziches, eccentriche e nuovissime, le mitiche calzature Dal Cò e i meravigliosi cappelli e copricapi della visionaria Elsa Schiapparelli, in una linearità a ritroso. I curatori, lontani dalla sterile celebrazione del glorioso passato, scelgono la strada della continuità, dell’eredità tecnica e culturale.
Le eccellenze, tanto ieri quanto oggi, per imporsi come tali necessitano sempre degli stessi ingredienti: talento, studio, determinazione e mani d’oro. Nessuna macchina da sola potrà mai realizzare la grazia di un ricamo, la perfezione di un’asola o la morbidezza di una rouche. I fautori della moda lo sanno benissimo: che si pensi a Capucci, alle Sorelle Fontana, a Schubert, o ad Armani, Versace, Valentino, o ancora a Galante, Colangelo e Scognamiglio, la centralità del fatto a mano non viene meno. E se con gli anni lo stile italiano acquista originalità, di certo non perde in qualità.
L’esposizione diventa allora un vero e proprio inno al dietro le quinte delle sfilate e delle vetrine. Ammirare lo splendore degli abiti e degli accessori vuol dire riconoscere l’eccezionale lavoro racchiuso in essi. Lavoro delle sarte e delle modelliste, entrambe preziosissime collaboratrici degli stilisti, come testimoniano le belle fotografie che accompagnano il percorso. Figure fondamentali al punto da essere continuamente richieste dalle case di moda, esse rappresentano una possibilità tangibile di guadagno e crescita professionale.
Non da ultimo la mostra è un’occasione per toccare con mano alcuni dei pezzi che hanno contribuito a scrivere la storia della moda in Italia: si rimane incantati davanti al pigiama palazzo lanciato da Irene Galitzine negli anni ’60 o di fronte ai modelli di calzature che Salvatore Ferragamo realizzò per le dive di tutto il mondo.
L’ angelo futurista all’ingresso, con la sua enorme cappa Gattinoni e gli occhiali 3 D, sembra rivelarci una grande verità: il futuro è nella tradizione.
1 commento
C’è una sorta arguzia e brio stilistico nei testi della Di Marzio, complimenti!!!!!!……Potremmo pensare al Pulitzer ma…. certo è un po’ prematuro……