La stanza dei suicidi è un film polacco in cui i problemi relativi alla scoperta della propria identità sessuale si intrecciano a quelli derivanti dal potere che i media esercitano sui giovani nell’età moderna. Il punto di arrivo della storia, tuttavia, è uno solo: la denuncia della solitudine e della mancanza di dialogo tra i giovani, e non solo tra di essi.
La stanza dei suicidi, di J. Komasa, Pol 2011, 112’
Sceneggiatura: Jan Komasa
Montaggio: Bartosz Pietras
Musiche: Michal Jacaszek
Produzione: Studio Filmowe Kadr
Cast: Jakub Gierszal, Roma Gasiorowska-Zurawska, Agata Kulesza, Krysztof Pieczynski.
La Casa del Cinema ha ospitato dal 2 al 5 marzo 2013 il V4 Film, una rassegna cinematografica di film realizzati dal Gruppo di Visegràd – chiamato anche quartetto di Visegràd o V4 –, struttura informale di cooperazione regionale formata da quattro paesi dell’Europa centrale: Repubblica Ceca, Polonia, Slovacchia e Ungheria. È un gruppo poco formalizzato, il cui unico aspetto istituzionalizzato è il Fondo Internazionale di Visegràd che ha come obiettivo principale il rafforzamento del senso di identità e appartenenza nazionale attraverso il sostegno allo scambio di progetti comuni in settori come la cultura, l’arte, la scienza, la ricerca e la formazione. È all’interno di quest’obiettivo che nasce la rassegna, la quale si propone di promuovere la cultura e la conoscenza dell’area dell’Europa centro-orientale mostrando le più importanti opere della loro cinematografia. I film prodotti o co-prodotti dai quattro paesi partecipano infatti a prestigiosi festival internazionali, ma sono poco noti al pubblico italiano.
La Polonia propone, tra i vari film, quello del regista Jan Komasa, debuttante dotato di grande sensibilità. La stanza dei suicidi è diventato quasi un fenomeno sociologico nel suo paese, e ha ottenuto sia un grande successo commerciale che premi e apprezzamento dalla critica.
Il film racconta la storia di Dominik, un adolescente figlio di una famiglia benestante che deve affrontare il problema della sua identità sessuale a partire dal momento in cui, durante una festa, bacia per gioco un suo compagno di classe e scopre di esserne attratto. Ciò che colpisce, tuttavia, è la mancanza di approfondimento del tema sessuale: Dominik si mostra coraggioso e aperto nel dichiararsi, e non esita a farlo in modo plateale anche con i suoi genitori; non vengono approfonditi i suoi dubbi o i suoi timori, anche se risultano essere presenti e palpabili. Le sue domande circa il proprio orientamento sessuale e ciò che ne deriva sembrano fungere unicamente da pretesto per entrare in un tema più ampio, quello della potenza che il mondo virtuale esercita sulle nuove generazioni alle prese con la dipendenza dalle novità tecnologiche, in cui spadroneggiano le figure degli hipster, dei blogger, degli emo, degli slasher, dei b-boy e dei backpaker. Quando la sua omosessualità viene resa pubblica sul web, Dominik decide infatti di ritirarsi dal mondo reale e di entrare nella cosiddetta “stanza dei suicidi”, una comunità virtuale dove si ritrovano i giovani afflitti dai loro problemi. È a quel punto che inizia il drammatico viaggio di Dominik in un mondo del tutto sconnesso dalla realtà abitato solo da figure virtuali, che lo condurrà verso l’isolamento e la depressione totali.
La storia pone l’accento sulla forza del virtuale, e allo stesso tempo ne denuncia la vacuità: in un mondo spogliato di grandi parole e di gesti patetici non ci sono più persone, ma solo utenti. Si tratta, però, soprattutto di una storia sulla disperata solitudine dei giovani, di una solitudine che può condurre verso la distruzione del sé. Lasciati soli da figure genitoriali assenti – che cercano di colmare i vuoti con la materialità e il benessere economico –, questi ragazzi risultano incapaci di comunicare con i loro coetanei nel senso più pieno del termine, cercando un terreno di confronto e un dialogo costruttivo.