La tolleranza è una buona cosa sempre e comunque? Questa è la domanda a cui il filosofo e sociologo tedesco Herbert Marcuse cerca di rispondere in questo intenso saggio, in cui riflette su diverse tematiche già affrontate in altri lavori, come, ad esempio, ne La tolleranza repressiva.
Il punto focale di tutta l’analisi di Marcuse lo possiamo ritrovare nella sua messa in discussione di uno dei punti cardini della democrazia: la tolleranza e una delle sue declinazioni moderne, ovvero il politicamente corretto. Il vero problema è che la tolleranza, nella sua evoluzione storica, finisce col tradire il suo scopo originario; nel momento in cui si pone a tutela dell’ordine costituito dal capitalismo moderno, essa arriva ad assumere una funzione repressiva. Un mondo, quello moderno, in cui si verifica una forte disparità fra la classe dirigente-dominante e quella dei cittadini-dominati. Una disparità sancita dal possesso e dal controllo totale, da parte dei dominanti, dei mezzi d’informazione e di comunicazione, i quali, in realtà, dovrebbero garantire una condizione di equa e pari dignità nella lotta tra le diverse idee contrastanti. Dunque ciò che oggi si proclama come tolleranza è, in verità, al servizio della causa oppressiva.
Nella democrazia occidentale si parte dall’assunto che nessuno possieda la verità in senso assoluto; la scelta, quindi, è affidata alla collettività, che ha la facoltà di scegliere liberamente tra diverse interpretazioni politico–culturali della realtà. In questo preciso punto il processo democratico sfocia in un meccanismo repressivo. L’amministrazione rigida dell’esistenza del singolo, da parte della società oppressiva, impedisce una scelta veramente libera poiché si riduce a un semplice conformarsi all’opinione pubblica. All’uomo viene così data la possibilità di scegliere, ma non gli vengono forniti gli strumenti per farlo in maniera indipendente. Finché sussisteranno queste differenze non si potrà affermare una piena tolleranza e sarà addirittura legittimo essere intolleranti.
Dunque Marcuse sostiene la stessa legittimità di una posizione che tenti di scardinare il regime democratico dal suo interno: la libertà di parola va garantita e l’opinione tollerata. I progressi anelanti alla libertà si manifestano, dunque, come sinonimi di un principio d’intolleranza verso quei protagonisti dello status quo repressivo, che limitano, irreparabilmente lo stesso processo reale di liberazione dell’uomo. Da questo assunto risulterà chiaro come alcune opinioni, azioni e/o decisioni politiche non potranno essere né permesse né tollerate, in quanto regressive o fasciste: esse devono essere stroncate sul nascere.
Marcuse non affronta il problema su chi stabilisca cosa possa essere detto o fatto e su quale base ciò possa essere determinato, ma, difatti, egli sembra sostenere che il discrimine sia da ritrovare nella bipolarità progresso-liberazione e regresso-oppressione. In questo Marcuse rimane fedele al suo pensiero: la libertà è una creazione storica e progressiva dell’uomo, una costante conquista contingente, frutto dell’incontro-scontro fra gli stessi protagonisti democratici.
CRITICA DELLA TOLLERANZA
Autore Herbert Marcuse
Casa editrice Mimesis collana MINIMA/VOLTI, 2011, Milano – Udine. pp. 48.