Il dramma si apre al buio, oscurità dello spazio e abisso insondabile dell’anima. Attorno allo spettatore in cerca di riferimenti, inquietanti murales fosforescenti spiccano aggressivi e inaspettatamente moderni: un teschio, un braccio muscoloso che sostiene una pistola, i nomi dei protagonisti in wild style, un crocifisso con Cristo agonizzante e, proprio di fronte, la ben nota endiadi Sturm und Drang, impeto tempestoso. Che il famoso binomio offra una chiave di lettura dell’opera non vi è alcun dubbio: ordine sociale e genialità, nel senso di natura, si confrontano e si contrastano in altalenanti e radicali sentimenti di odio e amore, bontà e crudeltà, ribellione e ubbidienza. Franz, trascinando la sua gamba storpia e il suo busto deforme, impietosisce il pubblico solo per pochi istanti, fin quando non si manifesta in tutta la sua natura di malvagio messaggero di sventure e menzogne, a discapito di un padre addolorato, messo all’angolo, anche fisicamente, dai suoi stessi dubbi e sensi di colpa. Come il Riccardo III di shakespeariana memoria, in Franz la bruttezza fisica va a braccetto con quella morale e non scemerà neanche di fronte alle suppliche del genitore, segregato vivo nella prigione. Il motivo di tanto astio risiede nella gelosia verso un fratello da cui sente di essere stato usurpato dell’affetto dovutogli.
Poiché già nel classico schilleriano non c’è disgrazia peggiore che essere rinnegati dal proprio padre, il doloroso sentore di questo rifiuto, basato sulle ignobili maldicenze del fratello, spingerà Karl a farsi capo di una cricca di briganti senza scrupoli che seminerà violenza e morte in ogni dove, mettendosi le leggi sotto le scarpe. Il loro covo è nella foresta Nera e la terra battuta, sparsa per tutto il palcoscenico e a volte addirittura respirata dallo spettatore, trasmette un’idea di selvaggio e primitivo. Tuttavia, Karl ha qualcosa di diverso rispetto agli altri masnadieri: è un Kraftgenie che vorrebbe agire ma che si scontra con i propri limiti, soprattutto con i propri scrupoli interiori. Nonostante il suo aspetto da poète maudit con capello lungo e andatura trascinata, egli è differente soprattutto dal compagno Spiegelberg, una sorta di demonio, che lui stesso a momenti asseconda per complicità giocosa e altre volte rifugge in modo deciso, mettendosi in un cantuccio a suonare la chitarra e abbandonandosi al pensiero nostalgico della casa paterna e dell’amata Amalia.
Ma Spiegel-berg, specchio, riflette anche l’aspetto malvagio dello stesso protagonista, quello su cui è basato il suo intimo dissidio, che si identifica con l’atavico conflitto Bene/Male. Karl combatte per la propria libertà interiore ma anche contro l’ingiustizia sociale, la superstizione e le convenzioni, simboleggiate dai tre anelli da lui rubati rispettivamente a un ministro, un banchiere e un prete. Il mondo, egli lamenta, ormai si è capovolto: i pezzenti sono re e i re pezzenti. Non manca un velato e ironico riferimento all’attuale situazione di malgoverno dell’Italia. Il problema principale, in quest’ambito, verrà individuato dalle sue stesse parole: «Cosa posso io, cosa puoi tu, di fronte a carestie, pestilenze, diluvi che uccidono i buoni con i cattivi? Non sarai tu ad impugnare la spada in nome del Tribunale Supremo!». E ancora: «Mi sono illuso di fare più bello il mondo con l’orrore e il delitto». La rappresentazione, così piena di pathos ed emozionanti colpi di scena, soprattutto nel finale, mette in scena l’ambiguità dell’animo umano. Franz e Karl sono a volte interscambiabili: benché diversi in apparenza, ugualmente si indignano di fronte all’ingiustizia della vita, soffrono del male ricevuto, reagiscono con violenza scomposta, uccidono, amano la stessa donna. Non a caso, proprio Amalia griderà in faccia a Karl la sua doppiezza: «Assassino! Demonio! Non ti posso lasciare, angelo!». Nonostante i numerosi riferimenti biblici, dalla storia di Giuseppe al Giudizio Universale, non si può parlare di redenzione cristiana. Ma come si fa a pregare? Qui è tutto vuoto e spento e arido.
Gabriele Lavia ha avuto la brillante intuizione di utilizzare quest’impeto tempestoso, quest’opera energica e vitale, per scuotere gli animi dei contemporanei da una pericolosa sonnolenza sociale, dannosa quanto la violenza. Un particolare plauso va agli attori per la loro impeccabile interpretazione.
I MASNADIERI
di Friedrich Schiller
Regia di Gabriele Lavia
Con Francesco Bonomo, Fabio Casali, Daniele Ciglia, Michele Demaria, Filippo De Toro, Davide Gagliardini, Gianni Giuliano, Daniele Gonciaruk, Marco Grossi, Andrea Macaluso, Luca Mannocci, Luca Mascolo, Giulio Pampiglione, Cristina Pasino, Giovanni Prosperi, Alessandro Scaretti, Carlo Sciaccaluga, Simone Toni
Scene Alessandro Camera
Costumi Andrea Viotti
Musiche Franco Mussida
Luci Simone De Angelis
Dal 25 ottobre al 27 novembre 2011, ore 21 (domenica ore 18) – Teatro India, Roma