Gabriele Lavia: La trappola

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Arriva al Teatro Argentina di Roma il riadattamento teatrale della novella più nichilista di Luigi Pirandello. Vivi, nella trappola della morte. Esseri morenti in quell’inganno chiamato vita. Nascere per poi morire. Figli della morte. Il coinvolgente Gabriele Lavia porta in scena domande esistenziali a cui ancora  mai nessuno è riuscito  a dare una risposta. 

La trappola

Di: Luigi Pirandello

Riadattamento teatrale: Gabriele Lavia

Con: Gabriele Lavia, Giovanna Guida, Riccardo Monitillo

 Scene: Alessandro Camera

Costumi: Andrea Viotti

Regia: Gabriele Lavia

Dal 9 al 24 marzo 2013 – Teatro Argentina, Roma

Un uomo è solo sulla scena. Nella sua casa. Intorno a lui, ordinati, scaffali pieni di libri. Nietzsche, Schopenhauer , mentori e punti di riferimento nella sua esistenza. Poi un grammofono, un pianoforte, culle di quella non vita in cui è costretto a stare. Oggetti che quasi stridono con il caos che l’uomo ha dentro. Un’inquietudine che lo divora, che lo tiene intrappolato, sospeso   fra la morte, che arriverà e la vita che finirà. Già, la morte. Già, la vita. Perché nasciamo se poi moriamo? Allora chi siamo? Perché usiamo il termine nascituro, se tanto moriremo? Siamo esseri destinati a morire, in quella trappola che non ci abbandonerà mai: la morte. In un soliloquio, il protagonista racconta la sua folle ossessione per la morte, morte che ormai ha preso il sopravvento sulla vita. L’uomo nasce già morto. Sdraiato sul divano, medita sulle contraddizioni della vita che hanno solo un unico punto di ritorno: la fine. Tutto è finto, tutto è artificiale, le convenzioni sociali, la misoginia, la famiglia, la vecchiaia: specchio delle allodole, noi siamo semplicemente intrappolati nella gabbia della morte che, beffarda, si prende gioco di noi. Illudendoci di vivere. Intanto un uomo, chiuso nella sua camera, piange. È il suo vecchio padre. Morente. Ha vissuto per poi morire. Allora perché ha vissuto? E dov’è la libertà?

Mentre cerca di trovare una risposta a queste angoscianti domande, una donna bussa alla porta. Eccola la vera trappola: il sesso, l’amore, la seduzione. Completamente annientato dall’astuzia e dalla malizia della donna, cade fra le sue braccia. Un inganno che presto pagherà. La donna rimane incinta, ma era già sposata, moglie di un uomo sterile. Ha preso il suo bambino e va via lontano.

Trappole, marchingegni, ecco cosa sono le varie fasi della vita. Il ghigno amaro della morte ha sapute giocare bene le sue carte. Siamo impossibilitati a creare dei legami, ma anche se riuscissimo a crearli, a cosa servirebbe? Siamo esseri morenti in balia di un destino già predefinito. E allora, dove cercare la libertà? In un crescente senso di impotenza e di incapacità di azione, all’uomo non rimane che un’unica via di fuga: scegliere quando morire. Unica libertà concessa. 

Probabilmente la novella più nichilista e pessimista di Luigi Pirandello, La trappola, riadattata da Gabriele Lavia e portata in scena al Teatro Argentina di Roma,  non è che voce dell’eterno conflitto fra la voglia di dare un senso alla vita e lo stridio della morte che incombe silenziosamente.

Lettore e interprete, Gabriele Lavia dà un’immensa prova lasciando spazio solo all’introspezione del suo personaggio. Anche l’ambiente è ridotto all’essenziale. Non c’è spazio per nessun genere di fronzoli.  Gli occhi della platea devono leggere e vedere solo le parole inquietanti e silenziosamente rumorose del protagonista.

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Redazione

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