Tenuto da una personalità come Daniela Lancioni, curatrice senior del Palazzo delle Esposizioni e responsabile dell’Archivio degli Incontri Internazionali d’Arte, il quinto appuntamento della rassegna Incontri americani non poteva che essere estremamente interessante.
Definendo l’immanenza come filo conduttore dell’arte contemporanea e prendendo in esame un arco di tempo che va dalla fine degli anni Quaranta del Novecento fino ai tardi Sessanta, il percorso inizia con l’idea che l’arte contemporanea sia meta-arte, arte che riflette su se stessa e che vuole mostrare il meccanismo di produzione dell’opera piuttosto che unicamente il prodotto finale. È in questa scia che si inseriscono avanguardisti americani come Jackson Pollock, Allan Kaprow, Jim Dine e Claes Oldenburg.
I loro happenings sono testimonianze importanti del loro modo di lavorare, fotografie del processo che conduce alla realizzazione dei loro lavori, permettendo di adottare un nuovo punto di vista che pone il pittore nella posizione, oltre che di Demiurgo creatore, di primo spettatore e di elemento stesso della propria opera. Ma allo stesso tempo gli happenings sono anche concepiti e realizzati con intenzioni artistiche, intendendo l’arte come performance. Determinanti furono anche le sperimentazioni relative a tecniche e materiali usati: basti pensare alla pittura fluida di Pollock, che lasciava sgocciolare liberamente e in maniera “indisciplinata” la vernice sulle tele.
Ma come la cultura visiva americana fu recepita in Italia? È questa la domanda principale posta nel corso della conferenza. L’Italia degli anni Cinquanta, e Roma in particolare, fu un cantiere attivo di arte e cultura fortemente interessato al nuovo modo americano di fare arte, nonostante il ritardo culturale dovuto a ovvi problemi sociali, politici ed economici derivanti dalla guerra appena finita. Esplicativi in tal senso sono nomi come Alberto Burri, Luca Fontana, Toni Scialoja, i quali ebbero il merito -e l’ardire- di interiorizzare e reinterpretare la lezione americana. Il proliferare, fino alla seconda metà degli anni Sessanta, di immagini rappresentanti gli artisti al lavoro è chiaramente ispirato al modello, così come di matrice americana d’avanguardia sono le innovazioni tecniche: Burri utilizzò diverse volte materiali desueti per la realizzazione delle sue opere, come catrame e bianco di zinco che avevano anche la funzione di reagire chimicamente con la tela ottenendo così effetti imprevedibili.
Il terreno comune su cui, ad ogni modo, Italia e America si muovono è indiscutibilmente quello storico e sociale. Siamo negli anni del boom economico e della società moderna, dove pubblico più ampio vuol dire maggiore necessità di comprensibilità all’interno del sistema della comunicazione. L’Avanguardia, pur essendo un prodotto artistico, nasce in seguito a questo mutamento del contesto di riferimento: essa si configura come risposta all’esigenza di una comunicazione più immediata -all’occorrenza anche semplificata- della società di massa.
INCONTRI AMERICANI
a cura del Palazzo delle Esposizioni di Roma (con interventi di Achille Bonito Oliva, Claudio Zambianchi, Philip Rylands, Gillo Dorfles, Daniela Lancioni, Alberto Boatto e Lara Conte),
dal 16 febbraio 2012 al 29 marzo 2012,
Foto Jackson Pollock, Blue (Moby Dick), Anno 1943 ca., Guazzo e inchiostro su tavola di composizione, 18 3/4 x 23 7/8 in., Ohara Museum of Art, Kurashiki