Domenica 13 Gennaio, nell’ambito della rassegna Il Mese del Documentario, presso la Casa del Cinema di Roma, è stato proiettato Lasciando la Baia del Re, film di Claudia Cipriani, che con notevole delicatezza stilistica riesce ad unire i temi del degrado e della rinascita interiore.
Lasciando la Baia del re, di C. Cipriani, Italia-Norvegia 2011, 77′
Montaggio: Valentina Andreoli, Claudia Cipriani
Supervisore Post-produzione: Luca Angeleri
Suono: Massimo Parretti
Fotografia: Claudia Cipriani, Valentina Barile
Produttore: Niccolò Volpati
Produzione: Ghira Film
«Insegnare bene è come cucinare un piatto mandando affanculo la ricetta» così dice uno dei ragazzi del doposcuola. Siamo a Milano, ma non nella metropoli modaiola di Via Montenapoleone. Questa è la provincia malfamata del quartiere Baia del Re, dove le culture si mescolano ed i ragazzi vengono bocciati fino ad abbandonare gli studi. Tra loro c’è Valentina, che ha già ripetuto alcune classi e confessa di sognare l’università, così da potersene andare. C’è anche lo scalmanato Pasquale che incarna invece colui che è predestinato a restare nella borgata d’origine. Tra stabili disadorni, un gruppo di volontari ha messo su un’associazione che offre il doposcuola ai ragazzini del quartiere. Lì Valentina conosce Claudia, trentenne che per amore del volontariato si è improvvisata insegnante. Claudia è benestante e Baia del Re le mette angoscia, tuttavia la ragazza ama aiutare gli altri. Incuriosite dal potere di una telecamera, le due iniziano a filmarsi l’un l’altra ed intrecciano un’insolita amicizia. Quando Claudia dà alla luce una figlia morta e Valentina perde sua madre, queste due donne tanto diverse decidono di partire insieme per un lungo viaggio.
«Non sono le persone a fare i viaggi, sono i viaggi a fare le persone». E’ questa citazione ad aprire la seconda parte del documentario, dove il viaggio diventa il tema predominante, una sorta di catarsi rigenerativa che mostra le persone per quelle che sono realmente. Siamo in Norvegia. Entrambe fuori dai rispettivi ruoli di borghese e disadattata, adesso sono soltanto donne, e ad emergere è la loro voglia di riscatto.Valentina si rivela curiosa, segue le spedizioni di un gruppo di ricercatori e chissà cosa sarebbe stato di lei se fosse vissuta in un’altra realtà, con la possibilità di scegliere che piega dare alla sua vita. Claudia parla tanto, racconta di sé alla compagna, sembra molto più fragile ora che è lontana da Milano. Eppure la realtà è dietro l’angolo. Sarebbe bello se bastasse la volontà a modificare le cose, ma spesso le circostanze sono tanto ingombranti che, anziché scansarle, ci si abitua ad esse; ed allora sappiamo che presto Valentina tornerà ad essere la sbandata di periferia e Claudia una semplice volontaria. Il viaggio è una parentesi che ricordiamo sempre con malinconia perchè dà forma alla parte spontanea di noi: peccato che tutto finisca sempre troppo presto.
Claudia Cipriani coniuga abilmente i due temi trattati, degrado ed esplorazione, e gli spunti per riflettere non mancano. Oltre alla spietata foto della periferia milanese ed alla bellezza delle distese innevate, tra le righe emergono soprattutto i ritratti sociali di due donne e del loro modo di reagire parzialmente mitigato dal momentaneo spostamento. Torna alla mente una frase che Valentina e Pasquale si erano scambiati un pomeriggio, mentre lui la stuzzicava su una presunta inferiorità della donna. Senza alzare lo sguardo dal quaderno, Valentina aveva elencato tutto ciò che secondo lei rendeva la donna pari all’uomo, e aveva terminato la frase dicendo: «poi le donne soffrono molto più degli uomini».
2 commenti
Grazie per la recensione. Tuttavia mi rattrista non poco la definizione che ritrae me come “volontaria, borghese, benestante” e Valentina come “disadattata”. Forse sarò borghese, certo mai stata benestante. Nel quartiere Baia del Re non ci sono finita per caso: abitavo lì dietro da anni e avevo già svolto diverse attività con i bambini nell’associazione omonima. Inoltre non ero una volontaria essendo il mio lavoro come insegnante pagato (la mia laurea con esami in pedagogia mi ha permesso di poter essere scelta). Il mio lavoro in Baia era uno dei tanti lavori con cui mi mantenevo in quel periodo. Valentina secondo me non è mai stata una “sbandata di periferia” piuttosto una ragazza con tanti problemi ma una volontà ferrea, grande sensibilità e intelligenza. Infatti adesso vive da sola e riesce a mantenersi con il suo lavoro. Mi sono sentita in dovere di spiegare queste cose perché mi dispiace constatare che forse nel documentario non sono emerse in modo esauriente. Claudia Cipriani
Buongiorno Claudia, mi fa davvero un gran piacere leggere il suo commento e soprattutto sapere che la mia recensione è stata letta proprio da le.
Non ho utilizzato l’accezione “borghese” in senso dispregiativo, avendo uno spazio ridotto a disposizione mi è sembrato solo il modo più “sbrigativo” (mi passi il termine) per cercare di evidenziare la sua distanza (culturale soprattutto) rispetto alla realtà rappresentata. Forse ricordo male, ma nella parte iniziale del documentario l’ho sentita dire che Baia del Re le mette una certa angoscia, che non sa come ci si è ritrovata e che si è “improvvisata” insegnante (le parole esatte mi pare fosser “non è il mio vero lavoro”). Motivo per cui ho inserito tali concetti nella recensione e, ribadisco, non in senso negativo, soprattutto quando ho utilizzato la parola “volontaria” (cosa che in effetti mi pare di aver capito Lei sia in quell’associazione). Rivolgendomi ad un pubblico che forse non avrà mai modo di vedere la Sua opera, ho scelto per Valentina il termine “disadattata” con la stessa logica per cui ho utilizzato “benestante”: ne fornisce una raffigurazione immediata abbastanza vicina al ritratto socio-culturale che se ne da. Ho però anche sottolineato la sua curiosità intellettuale e la sua voglia di emergere sia in Norvegia che nel quotidiano. Ho seguito il documentario con molta attenzione e ho riflettuto parecchio prima di passare a scrivere. Ad ogni modo, grazie per l’interesse dimostrato. Lorena Gallo