di Paola Berselli e Stefano Pasquini
regia Stefano Pasquini con Paola Berselli, Maurizio Ferraresi, Stefano Pasquini e Marta Moriconi20 Maggio, Teatro India, Roma
Non si immagina di cenare alle 18:00.
La cosa non avrebbe di certo sorpreso se ci si fosse trovati in Inghilterra, e malgrado ci si trovasse in Italia – che gli orari del vitto si avvicinano più alle 22:00 dei paesi latini piuttosto che alle 18:00 dei paesi britannici – la cosa è stata gradita da tutti i presenti.
Senza dubbio tutti gli spettatori seduti a quel tavolo – apparecchiato con stoviglie differenti l’una dall’altra, senza fretta ed un’estrema cura sotto lo sguardo dello spettatore sorridente – avrebbero continuato volentieri a cenare, bevendo vino assieme alla compagnia teatrale Le Ariette, che ha accolto il pubblico con la convivialità e la dolcezza di un pasto in famiglia, uno di quelli che si fanno la domenica, in giardino o sul terrazzo perché fuori c’è il sole.
La sorridente e bizzarra coppia che accoglie il pubblico serve salame, formaggio e pane così come si farebbe a casa ed è felice: una felicità tradotta in gesti semplici, capace di rendere felici anche gli ospiti, rilassati e bendisposti ad accettare le offerte di cibo.
Si offre la possibilità di stare per qualche minuto seduti insieme: sei sconosciuti – otto in realtà contando la coppia di attori che si fatica a riconoscere come tali in quella situazione di condivisione – che mangiano, brindano, si passano i piatti da portata a causa della lunghezza del tavolo.
L’allestimento casalingo/nomade cattura l’attenzione per la quantità di piccoli oggetti silenziosi che parlano di vita, si muovono intorno a causa del vento che fa oscillare il lampadario in stile vittoriano appeso ad un ombrello, fa sventolare gli strofinacci poggiati sulla cucina a gas allestita all’esterno, fa muovere le luci da festa messicana di paese che contornano lo spazio, sposta l’antenna della radio che nel frattempo trasmette una bellissima aria di musica classica.
La padrona di casa – che non si serve prima che tutti gli ospiti non abbiano qualcosa nel piatto – si alza da tavola per mescolare il sugo e scolare la pasta, per poi bussare alla porta chiusa della roulotte che finora si è osservata solo dall’esterno.
Al suo richiamo, fatto di tre rintocchi di nocche si riceve una risposta un’uguale risposta, a conferma del fatto che gli spettatori possono entrare.
Il pubblico si accomoda nel piccolo divano all’interno e subito viene travolto dall’odore di minestra che bolle sul fornello misto a quello di bucato delle camicie ordinatamente appese alle stampelle. Sul computer poggiato al tavolo della casa mobile scorre “Il Vangelo secondo Matteo” di Pier Paolo Pasolini sotto gli sguardi della coppia che si trova all’interno.
Lei cucina, taglia il prezzemolo – che tiene in un barattolo di pelati in latta –, fa bere il suo compagno evidentemente non auto-sufficiente, il quale richiama la sua attenzione attraverso alcuni segnali vocali. Il quadro che si osserva è di una poesia e di una delicatezza rara: c’è cura nel verso l’altro, c’è attenzione verso l’amore, verso l’umanità, verso la disgrazia. Sono gesti che spesso non ricevono la giusta attenzione anche a causa dell’abitudine che si ha nel considerarli scontati.
L’ultimo gesto, ovvero quello del sacrificio estremo, ricorda ciò che fecero Giuseppe e Maria Maddalena quando deposero Gesù: la vestizione dopo aver massaggiato il suo corpo con oli profumati, un’iconografia talmente forte impossibile da non riconoscere. La cura e la dolcezza con cui ci si prende cura della persona amata, l’estrema unzione come ultimo gesto d’amore.
Un lavoro accurato e curato nei dettagli, nella poetica, nella narrazione, nella drammaturgia, il tutto accompagnato da una verità e un peso emotivo palpabile difficili da trovare su un palco, anche solo per la normale distanza che solitamente si ha dagli attori.
Pasolini e la strada, il luogo dove amava stare, dove prendeva quella verità che fece sua tanto quanto nostra.