LE CARPE NEL TOHOKU

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Perché pur si tornerà a nuotare.

Il 5 Maggio, in Giappone, è la festa dei bambiniKodomo no Hi -. La festività ha nella sua origine rurale il desiderio di protezione dei fanciulli da parte dei genitori. Così diventano simbolo della festa quelle carpe colorate che veleggiano nel cielo, simbolo della tenacia e della forza, qualità che fanno nuotare/volare controcorrente le persone. Forse è qui il cuore della mostra fotografica sul Tohoku, che dal 30 aprile al 12 maggio si tiene all’Istituto Giapponese di Cultura. Mostra tutta ideologicamente attorniata alla festa dei bambini, tutta fondata sulla voglia di essere tenaci e di tornare a nuotare: quasi fosse un catartico gesto di scaramanzia.

Tohoku è la regione nord-est del Giappone, quella scenario del disastro nucleare di Fukushima. Ma com’è Tohoku? La maggioranza non lo sa. Possiamo immaginare sia per questo che, nella mostra, del disastro non c’è traccia.

Entrando nell’edificio – curiosamente modern-oriental in mezzo al panorama monumental-barocco/razionalista del luogo -, si accede all’istallazione, semplice e contenuta. Il percorso, non obbligato ma quasi suggerito dalla disposizione, ci conduce attraverso un arco di più di 70 anni a partire dalle prime foto del ’40 fino a quelle del 2011.

Ci accolgono, fotografati da Teisuke Chiba con un verismo sorprendentemente europeo, i “brutti” volti del Tohoku: brutti come quelli di qualsiasi contadino che abbia passato una vita sotto il Sole dei campi. Stanchi e sgraziati – mi sorge spontaneo il paragone – come quelli dei contadini abruzzesi del postbellico.

Poeticamente si incontrano, poi, le foto di Ichiro Kojima che coglie, con un certo gusto, il confronto tra la natura e gli uomini del Tohoku nel quale la prima sovrasta, incontrastata, i secondi che si limitano a sottostarle. Quindi si passa alla dicotomia spirituale di Hideo Haga e Masatoshi Naito, i quali, l’uno catturando i movimenti esorcizzatori-sacrali di uomini festanti in bianco&nero e l’altro prendendo l’immota rovina di antiche statue divine a colori, fotografano la sfera invisibile del sacro nel rurale Tohoku.

Subito dopo vengono presentate le foto di Hiroshi Oshima, i cui scatti, titolati La Ville de la Chance con ironia – di cui non son certo fosse cosciente -, cristallizzano attimi e luoghi della vita di campagna. Unitamente alla eccezionalità della qualità fotografica sono da segnalare una certa amarezza ed una melancolia di fondo presenti nelle foto.

Quindi si giunge a quelli che, a mio parere, sono i pezzi forti della mostra; quelli che rispondono alla domanda cos’è Tohoku? Le foto, recentissime, di Meiki Lin. Eliminando completamente la presenza umana, Lin coglie poeticamente quella natura potente, mastodontica e delicata che si palesa nel Tohoku. Con foto a tratti colorizzate, l’artista produce immagini che potrebbero essere scambiate quasi per quadri iperrealisti. La capacità fotografica di cogliere il dettaglio delicato e lo sfondo orgiasticamente opulento o titanicamente minimalista, rende i suoi scatti vere opere d’arte.

Si prosegue poi con Masaru Tatsuki i cui scatti, fortemente caratterizzati dalla presenza faunistico-antropica, presentano – chiaramente non in tutte le foto – un certo gusto per la crudezza della morte o più semplicemente della caccia: cervi abbattuti e teste di questi usate come trofeo, come anche tonni appena pescati.

La mostra continua con le asettiche foto dell’artificialità della Sendai Collection – chioschi, case, strade, scale, ecc… – presentate da Toru Ito ed il suo gruppo.

Si continua con le poche foto di Nao Tsuda, interessantissime. Se le foto di Chiba sono un romanzo verista, quelle di Haga un testo vedico e quelle di Lin un poema lirico, allora le foto di Tsuda sono un saggio sulla bellezza: con obbiettività egli è in grado di cogliere le cose migliori, senza per questo gonfiarle o negare le brutture che si potrebbero osservare attorno.

La mostra si conclude con gli scatti di Naoya Hatakeyama: con una ciclicità quasi alessandrina si torna a gustare delle figure nipponiche di partenza, stavolta non più contadine, ma pienamente urbanizzate e globalizzate.

E con uno scatto – quasi auto ironico – ci si può permettere di concludere fotografando una signora che fotografa. Quasi un esorcismo che allontani il ricordo della centrale di Fukushima e ribadisca che se prima c’era vita nel Tohoku, presto, ce ne sarà ancora . E noi non possiamo fare a meno di  concordare con ciò ed augurare al Tohoku di tornare a nuotare. Come le Carpe.

TOHOKU: FOTOGRAFIE DAL GIAPPONE

Istituto Giapponese di Cultura in Roma,

dal 30 marzo al 12 maggio 2012,

a cura di Kotaro Iizawa.

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Webmaster - Redattore Cinema

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