«Ci sono luoghi in cui le storie si impongono in maniera un po’ diversa dagli altri»: così viene introdotto il film documentario Le Cose Belle, di Agostino Ferrente e Giovanni Piperno ieri, 10 Aprile, presso La Casa del cinema di Roma.
Le Cose Belle, di G.Piperno E.Ferrente, doc. Ita 2012, 80′
Produzione: Bianca Film, Parallelo 41, Pirata M.C. Point Film; in collaborazione con Rai Cinema, Ananas
Formato di ripresa: HD, DV Cam e Super 8
Post Produzione: A cura di Rec & Play
Le Cose Belle nasce da una composizione in due tempi. I due registi in sala spiegano di aver portato a compimento un lavoro intrapreso nel 1999 per la Rai, Intervista a mia madre, che si proponeva di raccontare frammenti di adolescenza di quattro ragazzini napoletani, alle prese con una disincantata realtà e un amaro contatto col prossimo futuro.
Come si impongono le storie a Napoli? E quali “belle cose” nascono da storie imposte? A questi interrogativi i due registi tentano di dare risposta con un film che segue un filo del discorso che si dipana attraverso un po’ di anni e che cerca di tirarci fuori da una città labirintica, da vite più ammatassate di un gomitolo.
I protagonisti del 1999 sono stati ritrovati dai registi, ricontattati, rifilmati. Reinseguiti nelle loro vite di adulti.
Fabio ed Enzo erano due maschietti dodicenni, Adele e Silvana due signorinelle quattordicenni. Li accomunavano sogni di gloria: uno aspirava a diventare un goleador, l’altro mirava alla musica, le ragazze volevano “fare le modelle”.
Il film è una grande collaborazione: «i personaggi ci hanno lasciato penetrare la loro intimità, hanno vissuto davanti a noi, davanti allo sguardo delle nostre telecamere, smaliziati, incorrotti, puri. Senza paletti. Per questo abbiamo dovuto ringraziarli».
«A Napoli il tempo non esiste, è una credenza popolare»: la scena si apre così, con le macchine simbolo della fine degli anni ’90 che sfrecciano su Via Marina investite dal sole caldo del capoluogo campano.
Che siano passati dodici anni, nella medesima inquadratura riproposta in chiusura del documentario, ce ne accorgiamo solo nei nuovi profili dei protagonisti. La gestualità, l’espressività sono le stesse. Ma molti occhi sono cambiati.
Il piccolo cantante propone contratti telefonici porta a porta, il calciatore vive con la madre e non riesce a mantenere un lavoro, sconvolto dall’omicidio del fratello avvenuto pochi anni prima. Una delle modelle lavora in un night club, è una ragazza-madre, ma con la sua, di madre, non ha ancora appianato le cose. L’altra ha un fratello in carcere, un fidanzato agli arresti domiciliari, una madre alla quale si è ricongiunta, nonostante tutto.
Sono vite più dure di quelle che avevamo lasciato. Con un carattere molto più cinematografico i due registi riprendono il filo e ci svelano i finali delle storie che avevano abbozzato. La “quota di imponderabilità” del documentario ancora sussiste, la veracità è preservata. Non ci sono più interviste, però, né bambini che giocano a fare i cameraman. Napoli non è proprio come avremmo voluto diventasse e la matassa si è aggrovigliata ancor di più.
Quali sono, allora, le “cose belle” che Piperno e Ferrente vogliono mostrarci?
“Tante belle cose” è un augurio di congedo tipicamente napoletano, ci ricorda la voce narrante.
Ebbene, ciascuno ha avvertito fortemente di aver ricevuto questo augurio a La casa del Cinema.
Le Cose belle è un film rivolto a chiunque abbia voglia di vedere, di aprire gli occhi. E a chiunque sia disposto a cogliere il bello, anche quello che sembra più latitante.