L’ultimo testo di Romeo Bufalo, professore associato di Estetica presso l’Università della Calabria, è un’analisi raffinata, e per molti versi convincente, dell’idea di fenomeno. Esso costituisce uno dei risultati più compiuti di un progetto filosofico di recupero del sensibile, che da alcuni anni interessa gli studi e le riflessioni dell’autore.
La tesi fondamentale, messa in chiaro sin dalla prefazione, riguarda il tentativo di liberare il mondo delle apparenze da un’esiziale ipoteca filosofica, secondo cui esso si configura come parvenza ingannevole o persino come non-essere. A una simile concezione, sostenuta da una plurisecolare tradizione di pensiero, Bufalo ne oppone una di stampo antiessenzialistico, volta a rivalutare l’evento dell’apparire sensibile, come venire alla presenza degli enti -o meglio alla luce-, automanifestatività o spontaneità autogenerativa. E, in parallelo a questa riabilitazione ontologica del fenomeno, procede una rivalutazione dello statuto epistemologico della percezione, dell’aisthesis, non semplice «anticamera del concetto” ma forma di conoscenza che «si organizza e funziona autonomamente». Ne consegue l’affermazione del concetto più pregnante dell’intero libro, ovvero quello di verità estetica, ritenuta non solo parimenti importante rispetto a quella logica, ma persino fondativa rispetto ad essa.
Partendo dalle hegeliane Lezioni di estetica, e dal rapporto fra verità e bellezza nel mondo antico, Bufalo tematizza una verità non disincarnata e fuori dal tempo, che vive nel contingente come ‘bella apparenza’. Si tratta, dunque, della verità-bellezza del prépon, dell’appropriatezza che fa risplendere ogni ente per nitidezza e distinzione dei contorni, per una visibilità ad alta definizione.
Ne consegue una decisa critica a ogni forma di duplicazione del mondo, secondo cui non esistono due piani di realtà diversi e separati, uno costituito di essenze intelligibili e un altro, fenomenico-sensibile, inferiore perché costituito da enti transeunti: quelle essenze infatti si radicano esse stesse nella sfera percettiva-fenomenica, in quanto sono «più modestamente, ma più efficacemente quadri di intelligibilità dei fenomeni» -il dialogo qui è specialmente con i naturalisti del V secolo a.C., ma anche con Platone!-.
Particolare attenzione è riservata poi alla pittura, «in cui riusciamo a ‘vedere’, attraverso un’intensificazione del sensibile, più di quanto non si scorga nella realtà che appare immediatamente» : essa è il luogo privilegiato della verità estetica che «non consisterà tanto nella corrispondenza alla natura, ma nell’interna organizzazione formale dei materiali».
Sviluppando un’ontologia degli eventi, Bufalo insomma focalizza la sua attenzione sul territorio del darsi delle cose, in cui individualità ed universalità coesistono senza necessariamente spaccare il mondo in due. E’ il territorio delle qualità secondarie, di cui egli tesse un elogio, contestando la riduzione del mondo a rapporti numerici oggettivi ed universali. E la vaghezza dei fenomeni, il loro essere chiari ma confusi, è «la garanzia della possibilità stessa dell’esperienza: un mondo logicamente ‘perfetto’, privo di eventi colorati, profumati, caldi o freddi, dolci o amari, sarebbe un mondo senza senso, anestetizzato, perché sarebbe un mondo in cui non si può fare esperienza».
In definitiva, nonostante una sovrapposizione forse non sempre chiarita fino in fondo fra piano estetico, empirico e fenomenologico, il tentativo che Bufalo propone di «strappare l’invisibile al cielo fumoso del soprasensibile riconducendolo alle sue matrici terrene», è sicuramente degno di grande apprezzamento e la lettura del libro è senza dubbio consigliabile.
IL MONDO CHE APPARE. STORIE DI FENOMENI
di Romeo Bufalo,
edito da Mimesis, collana Percorsi di confine, Milano-Udine 2012.
foto Giorgio De Chirico, Le Muse Inquetanti, 1917, Collezione Privata, Milano.
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Hai saputo cogliere gli aspetti essenziali del testo, riuscendo a dare intensità a un testo che, per necessità, deve essere breve. Non ci sono sovrapposizioni, banalità; come si dice, la pagina è densa. E’ una lettura impegnativa, non ci sono pause per il lettore. C’è anche un leggero appunto e questo dà un tocco in più. Ottimo lavoro. Anche l’ intervista mi è piaciuta. Le domande sono state costruite in maniera tale da consentire all’autore di parlare dei vari aspetti del testo, di presentarlo adeguatamente. Complimenti Roberto.
prof. Dario Cozza