1° Maggio: LEWIS HINE – MEN AT WORK

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foto  Lewis Hine, Empire State Building Construction Workers, 1930; Girl in cotton mill Some of the so-called “helpers” in a Georgia cotton mill, New York: ex-collection Lewis Wickes Hine, 1909.

altre info Leggi l’articolo su fotografia, lavoro, immigrazione italiana

Nato a Oshkosh nel Wisconsin, dopo una lunga esperienza giovanile di lavoro in fabbrica, Lewis Hine frequentò con profitto le Università di Chicago e di New York e si laureò in Sociologia. Iniziata la carriera di professore presso una scuola di New York, decise di utilizzare la fotografia per rendere più efficace il suo insegnamento.

Hine è uno dei fondatori del fotogiornalismo, corrente che nel tempo ha subito un profondo mutamento: l’avvento dei mass media ha provocato, infatti, una frattura tra informazione e qualità formale del messaggio. In questo processo è andata perduta la sintesi tra “bellezza e testimonianza”, tra “etica ed estetica”. La fenomenologia delle arti, rispetto alla scienza sempre più progredita, porta l’estetica a slegarsi dall’etica e dall’impegno primario di descrivere la realtà conducendola alla giustificazione della propria specifica artisticità.

Ma in Hine l’estetica è ancora, quanto mai, presente; un catalogo recente celebra le sue opere con il titolo C’era una volta la bellezza: perchè le sue foto raccontano, si collocano in una realtà sociale,sono il primo esempio di photo story di cui la bellezza è il tramite linguistico.

Il bianco e nero spoglia il reportage dei colori, è un linguaggio astratto, imparziale, che concentra l’attenzione sulla composizione: la foto è permeata da una bellezza intrinseca, non artificiosa, non protagonista, ma tuttavia presente.

Un altro parametro “colora” le foto di Hine: la soggettività, che dà profondità e sfuma le situazioni con un linguaggio pulito ma irriverente. La foto deve catturare un’evidenza attraverso gli occhi dei bambini, degli immigrati, dei lavoratori. Gli occhi documentano, gli occhi denunciano.

I bambini fotografati fuori e dentro le fabbriche, per conto di National Child Labor Committee, seppero attrarre l’attenzione degli americani sul lavoro minorile e riuscirono a far votare alcune leggi fondamentali a protezione dei minori.

E’ proprio la bellezza delle foto a dare rilevanza al loro contenuto, ponendolo sotto gli occhi di tutti. Alcune delle foto più belle di Hine si trovano nel volume Men at work (1932), tra le quali spiccano per originalità quelle scattate agli uomini che parteciparono alla costruzione dell’Empire State Building, all’epoca l’edificio più alto del mondo.

Qui non abbiamo più semplicemente un’arte che rappresenta o immortala il lavoro: il lavoro è arte.

Hine analizza la città dall’interno, con la sua componente umana messa al centro e ritrae operai disposti su una trave simili a trapezisti spensierati, quasi come se volesse donarci uno sguardo di speranza, leggerezza sulle cose del mondo: i protagonisti, in fondo, sembrano fieri del poco che hanno.

Si pone così l’accento su una nuova riflessione: il contributo umano all’attività industriale non ridurrà mai l’uomo a macchina. La perdita dell’umano non è mai definitiva, grazie alla lotta costante di chi nel lavoro, nonostante le condizioni di degrado e crisi, cerca e scopre la sua umanità. Per questo occorre restituire dignità al lavoro, poiché è dall’interno del lavoro stesso che sono possibili larghe vedute, come quella che si scorge dall’Empire State Building.

 

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