LISA: Lassù

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Sabato 25 maggio 2013, presso gli spazi di The HUB Roma è andata in scena l’ultima azione teatrale del mese ad opera del collettivo artistico LISA; Lassù, una pièce teatrale in ambiente sperimentale sulla falsità delle parole.

Lassù

di LISA

Regia: Virginia Franchi

Assistente alla regia: Valeria Spada

Con: Carlotta Micol De Palma & Arcangelo Zagaria

Elaborazioni sonore: Gianni Salinetti

25 maggio 2013 – The HUB, Roma

Con Lassù, il collettivo LISA conclude la sua rassegna Non Fidatevi Delle Parole, un’avventura teatrale sulla falsità e sulle barriere della comunicazione e sul suo significato nella vita quotidiana. Gli artisti lanciano un messaggio nell’intento di sciogliere l’eccesso e il sovraccarico verbale, nella vita come nel teatro – suo figlio -, per ritornare a un’essenza performativa dimenticata. Stavolta, lo spettacolo come puro racconto, come pura storia, è affidato a due bambini e a uno spazio teatrale ancora una volta interattivo; eccoci, dunque, Lassù.

Come le sedie, ampie fasce bianche pendono dal soffitto disposte in una forma geometrica, il cerchio, che ricorda l’antico anfiteatro. In questo spazio embrionale – difatti una cellula – attore non è solo chi compare in scena per cogliere la nostra attenzione, ma lo stesso spettatore che ci siede di fronte o sul cuscino accanto. LISA si diverte a condurre per mano il pubblico a scoprire il teatro, a partecipare alla sua realizzazione, per aiutarlo nella costruzione di una nuova identità; per questo è necessario specchiarsi e riconoscersi nell’uomo e nella donna a noi vicivi, oltre che nelle vicissitudini della narrazione. Per Lassù, la regista Virginia Franchi aggiunge un’animazione comprensiva di proiezioni di chiare luci celesti e suoni gracchianti ma sottili, trasportandoci in cielo dove, finalmente, conosciamo i protagonisti.

Un maschietto capriccioso e una femminuccia premurosa si presentano nei loro abiti bianchi d’innocenza. Ai due è affidato il compito di maneggiare storie, di costruirle con la feroce sincerità propria del loro essere bambini, la disinteressata franchezza che, adulti, ci ostiniamo a considerare capriccio. Ma non è che un giudizio sul nostro essere incapaci di ascoltare. E se questo ci da forma e ci rende maturi nelle apparenze, dall’altra è, insieme a tutta l’inutilità delle parole, quel vuoto che sancisce la fine della nostra infanzia. Se le vanità dei grandi impediscono a questi bambini di scendere dal cielo e nascere, da lassù non possono che raccontarsi storie d’incomunicabilità, increduli.

La vanità non è che la porta su un oceano di senso di colpa, una gran parte del quale ereditato dai genitori, rimosso nella razionalità estrema dell’età adulta. In ambito psicologico, con la comparsa della consapevolezza del peccato, ha inizio la nuova storia di un essere umano. Ugualmente nel mito della cacciata dal paradiso la perdita dell’innocenza è figurativamente l’inizio della sofferenza. Smascherare il silenzio rappresenta allora il primo passo affinché si possa inquadrare le colpe che non ci autorizziamo, illuminare il pozzo dell’inconscio dove riposano le nostre ferite e guarire. Altrimenti, nuovi piccolini non potranno mai nascere, né il nostro bambino interiore potrà giocare con loro e con il mondo.

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Redazione

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