L’OCCHIO EGOICO E CLAUSTRALE DELLA TRANSAVANGUARDIA

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Il quintetto composto da S. Chia, E. Cucchi, F. Clemente, N. Di Maria e M. Paladino, ha dato vita alla Transavanguardia, neologismo coniato da A. Bonito Oliva nel 1979 per definire questo gruppo di artisti, tutto italiano e conosciuto anche all’estero. Costellazione transavanguardia mette in mostra le opere, di questa corrente artistica, presenti nella collezione dello GNAM focalizzandosi sulla soggettività individuale –sia essa metafisica o tremendamente materiale- e sul tentativo di ricondurci alle nostre radici amene, ancestrali e oramai seppellite.

Una piccola sala, la trentadue, accoglie le opere dei transavanguardisti. In senso antiorario, troviamo per prima, un’opera senza titolo (1981) di Clemente composta da due oli su tela. Nel quadro alla nostra sinistra una testa di uomo crogiola sangue. Il suo corpo si è trasformato in un enorme e sconnesso drappo rigido che accoglie, al suo interno, schizzi di figure danzanti rosse e nere formanti una piramide rovesciata. Esse sembrano nascere dal basso, da un secchio, anch’esso fatto di panno, sorretto da un uomo e una donna vestiti in maniera campagnola e affaticati dallo straziante sforzo causato dal peso del recipiente. Il secchio è, infatti, ripieno di sangue dal quale si diramano quei danzatori che, a loro volta, sembrano essere madidi sgocciolamenti sulla pelle dell’uomo, divenuta, oramai, linda superficie da cancellare con soventi pennellate.

Alzando gli occhi, nello stesso quadro, ci troviamo di fronte a un atto sessuale in cui una donna, a gambe divaricate, accoglie il suo uomo decapitato. Dal collo del malcapitato una fontana di sangue schizza oltre il corpo della soddisfatta mantide religiosa femminea, languida e goduriosa nell’atto in cui si unificano ed estetizzano visualmente Eros e Thanathos. Simbolo fallico dell’erezione maschia incessante, il balzo rubicondo non tocca la donna, emancipata in questa prospettiva di sacra e paradossale inviolabilità tattile sanguinolenta. Il quadro ora è più chiaro, la decapitazione dell’uomo si esplica come il rito d’iniziazione carnale dell’accedere al pensiero umano in quanto tale, rappresentato, in questo caso, dall’arte figurativa della danza. Nel quadro a fianco, un ragazzo, dallo sguardo colpevole, sembra essersi conficcato un trapano nella coscia. In realtà è il suo dito. Consapevole dell’accaduto, conscio di aver fatto un guaio sul proprio corpo, l’adolescente ci mostra il dito con fare colpevole e, nello stesso momento, rifuggendo i nostri occhi con accento dimesso.

A fianco dell’opera autunnale Boy and Dog di Chia, troviamo un’opera scultorea che ci porta in una condizione di piena tridimensionalità. E’ Tana (1993) di Mimmo Paladino. Un uomo oblungo, dai suoi due metri di altezza, nonostante i suoi occhi siano vuoti, pone su di noi uno sguardo, non accigliato, bensì scrutatorio. E’ in piedi sopra a un tronco di cono forato. E’ il buco, o meglio, la tana di un animale appena ridestatosi dal lungo letargo. Ci accovacciamo per vedere se è ancora dentro, ma l’animale sembra essersene già andato dopo il suo risveglio. Giriamo attorno alla scultura. Qui troviamo l’animale, oramai ridestatosi, arrampicato sulla lunga schiena inarcata dello smilzo uomo. Forse questo tasso, dal viso un po’ attapirato e coi tratti, in realtà, da stanatore, nell’albeggiare della nuova stagione primaverile, ha voluto tirare uno scherzo a chi, come noi, lo stava cercando. Salito sulle vertebre bronzee dell’uomo, è interessato a conquistarlo, arrivando fin sulla sua testa per manovrarlo a mò di burattinaio. Animale e uomo s’incarnano a vicenda; mentre il primo si tramuta in curioso detective di una natura successivamente intenzionato a padroneggiare nello stesso modo dell’uomo, il secondo si trasfigura in formichiere che con il suo muso proboscidale e affusolato, tenta d’investigare il formicaio, senza accorgersi di essere, nel frattempo, investigato da quella bestia, già approdata, da chissà quanto tempo, sulle sue spalle, a mò di silente conquistadores. Nello sfondo della boscaglia, la dicotomia inquirente/indagato è interpretata da entrambi i protagonisti come l’esemplare esistenza eremitica di un animale sempre in cerca di un nuovo tugurio dove possa ripararsi dalle fredde giornate invernali. Una condizione di necessaria e non convalescente solitudine errante, non solipsistica, ma solitaria, indefinitamente solitaria.

COSTELLAZIONE TRANSAVANGUARDIA

riorientamento delle sale, Gnam, a partire dal 21 dicembre 2011.

foto Sandro Chia, Boy and Dog, 1963.

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Autore

Lorenzo Cascelli

Ho conseguito la Laurea Magistrale in Estetica nel 2012 con una tesi su "The Tree of Life" di T. Malick e "Melancholia" di L. von Trier presso il dipartimento di Filosofia dell'università "La Sapienza" di Roma. Caporedattore prima di Arte e Libri e poi di Cinema presso Pensieri di Cartapesta, da Aprile 2014 sono direttore editoriale di Nucleo Artzine.

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