Locke, di S. Knight, UK/USA 2013, 85′
Produzione Im Global, Shoebox Films Distribuzione Good Films
dal 30 Aprile nelle sale cinematografiche
Razionalismo e senso di responsabilità, dettati da uno smaccato e vendicativo taglio delle radici, sono nella volontà di Ivan Locke – Tom Hardy –, che mina il suo intero complesso esistenziale nell’arco di una sola notte. Capocantiere ai limiti del maniacale, Ivan si sente moralmente costretto a salire sulla sua macchina e andare a Londra per rimediare a un errore, il giorno prima che avvenga la colata di cemento “più importante d’Europa” nel sito in cui lavora. È un regolamento di conti con se stessi fondato su un compassionevole senso di giustizia; una vera e propria (de)-costruzione durante la quale il suo telefono si fa bollente: chiamano ripetutamente il suo collega, il suo datore di lavoro, la sua ex assistente, sua moglie, i suoi figli.
E poi ancora: i suoi figli, il suo datore di lavoro, sua moglie, la sua ex assistente, il suo collega.
Locke di Steven Knight è un film in cui il tempo dell’azione filmica e quello dell’evento narrato praticamente si sovrappongono. Nel tournage, durato solo otto giorni, è stato possibile girare l’intero film ogni notte. Le tre mdp digitali RED Epic utilizzate sono state posizionate, all’interno della macchina, ogni notte in un’angolatura diversa, cosa che notiamo dal montaggio serrato, ma che si limita praticamente a una mera registrazione del fatto: otto notti per otto performance unificate. Le poche soggettive inducono lo spettatore a non impersonificarsi con Tom Hardy, bravissimo a bucare lo schermo con la sua interpretazione cinica e al tempo stesso disperata. Il suo è un solipsismo descritto attraverso i numerosi primi piani e a cui ci approcciamo in maniera distaccata. In quella BMW c’è, infatti, solamente Ivan Locke.
La fotografia di Haris Zambarloukos si esplica in un policromismo notturno artificiale costituito dal giallo/rosso dei fari, dalla luce dei lampioni e dal riflesso dato nella trasparenza dei finestrini. Le poche volte che la mdp trasloca all’esterno dell’auto vi è un continuo processo di messa a fuoco, come se il cammino da compiere verso Londra fosse sì illuminato intorno, ma ancora, nonostante la lucidità del protagonista, da definire nella sua complessità. Nonostante la sceneggiatura originale, la struttura di Locke sembra avvilupparsi in una ripetizione che riusciamo a prevedere. La speranza è sita nella possibilità di un viaggio di ritorno, come se una notte potesse essere, tragicamente, una panacea di tutti o un solo male.