In occasione del terzo anniversaio della morte del calciatore Socrates avvenuta il giorno 4 di dicembre dell’anno 2011, abbiamo intervistato Lorenzo Iervolino, autore del libro Un giorno triste così felice che giunge alla terza ristampa dopo soli sei mesi (leggi qui la nostra recensione), che ci racconta la genesi del libro, il suo metodo di scrittura e come è arrivato ad occuparsi di questo personaggio, entrato ormai nella mitologia sportiva e culturale. Dal libro è stato realizzato un reading che debutterà il prossimo 6 dicembre al Teatro del Lido e che vedrà sul palco anche l’autore stesso.
Come nasce un libro? Come è nato Un giorno triste così felice?
Credo che “le strade della nascita di un libro siano infinite”, tanto per parafrasare un noto detto. Mi ricordo ad esempio – tra le centinaia, le migliaia di esempi citabili – quando in una ristampa di Sostiene Pereira (Feltrinelli), Antonio Tabucchi dice di aver “ricevuto visita” da Pereira e da tutti i personaggi che poi avrebbe raccontato nel libro, riportando una serie di “visioni” legate a questi incontri immaginari. Ne parlava con un tono misto di chi vuole giustificare il pericolo di essere creduto pazzo dal proprio interlocutore, ma anche con tono molto serio e convinto. E a quella serietà, nell’apparente follia di uno spunto creativo, io ci credo.
Nel mio caso, non ho ricevuto nessuna visita, anzi, Sócrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieira de Oliveira sono andato a cercarlo. Letteralmente. L’occasione è venuta con una trasmissione sulla Democrazia Corinthiana che stavo preparando per Radio Kairos di Bologna, e da lì sono sprofondato nella vita, nella densità della vita del Doutor Sócrates, e non ne sono più uscito per un anno e anche più.
Ho così iniziato a ricercare e collezionare tutte le sue parole, per ricostruire la sua vera voce, drenandola dalle interviste, dagli articoli, dalle trasmissioni televisive, dalle prefazioni dei libri che ha curato. Così la voce del personaggio-Sócrates delle prime due parti del libro – che sono le due parti romanzate del libro – vedono, appunto, la sua vera voce. Ma non era abbastanza. E anche se all’inizio non lo sapevo. Ma dopo quattro-cinque mesi di ricerca, ho iniziato a viaggiare. E i viaggi mi hanno portato a incunearmi nei luoghi che avevano fatto parte della sua vita, solo un anno e mezzo/due dopo la sua morte, e a conoscere, in Brasile e in Italia, i suoi amici d’infanzia, i suoi compagni di studi in medicina, i suoi familiari, parenti, compagni di squadra, avversari, tifosi: insomma, il progetto-romanzo, ha deragliato in un reportage, in cui Sócrates è circondato e raccontato dalle voci di tutte queste persone. E questa terza (e ultima) parte del libro, è nata scrivendola, trovandomi a inserire nel libro il mio reale incontro con José Paulo Florenzano, il professore dell’Università Cattolica di São Paulo e autore di un saggio-bibbia sulla Democrazia Corinthiana, il libro ha avuto una seconda nascita, improvvisa e improvvisata.
Poi dovrei dirti che in fondo, tra le vie di Ribeirão Preto, sui banconi dei bar che frequentava, in fondo agli occhi umidi dei suoi amici al termine delle interviste, nelle loro risate, tra le pieghe di quei ricordi evaporati con l’inevitabilità della fine, beh, forse, in certi casi mi è sembrato anche a me di vederlo, il Magrão, col suo passo strascicato, il volto serio e gli occhi intelligenti.
Di cosa parla e di chi parla il tuo libro?
Parla di un’avventura. Un’avventura di coerenza e fantasia. Di impegno politico e spirituale. Parla di una vita di un campione di calcio degli anni ’70 e ’80, un campione con grande cultura, passione, e nessuna paura di essere se stesso. E al tempo stesso, tenta di parlare di un paese, il Brasile, attraversato dal 1964 al 1989 da una dittatura militare, non molto nota, che si sovrappone con buona parte della vita di Sócrates, che nel marzo del 1964, quando ci fu il golpe militare, aveva appena compiuto dieci anni e nel 1989, quando – anche grazie al contributo suo e della Democrazia Corinthiana un grande movimento culturale oltre che di opposizione popolare – la dittatura lascia spazio alle istituzioni democratiche, ne ha trentacinque e gioca la sua ultima stagione da professionista
Di chi parla? Di un uomo. Un uomo che è stato laureato in medicina, dottore per chi ne aveva bisogno, poeta, autore di canzoni, mecenate delle arti, capitano della più forte nazionale brasiliana di tutti i tempi (quella dell’82), ma che mi piace definire citando le parole del suo amico Maurinho Sacchi, che lo definisce “l’egoista più altruista che ho mai conosciuto”. Per fare tutte quelle cose, e per sposarsi cinque volte, certo aveva se stesso al centro del suo mondo. Ma questo libro racconta anche di quanto lui fosse al centro del mondo di tantissime persone. Gente semplice, gente che in lui si riconosceva e ancora oggi si riconosce.
Qual è il tuo rapporto con la scrittura? Cosa ti piace raccontare e come ti piace farlo?
Mi piace attingere dalle storie vere. Mi piace rovistare tra i documenti, riesumare foglie morte, osservare, ascoltare, intervistare quando possibile i protagonisti di una vicenda che mi appassiona. E andare a ricercare le voci, gli sguardi, le contraddizioni, i burroni. Aggrapparmi alle liane del tempo, intrecciare i linguaggi, girare attorno all’oggetto della narrazione o di un protagonista creando (o ricreando, in maniera quasi teatrale) i tanti ambienti che appartengono o sono appartenuti ad una storia.
Nel caso di Un giorno triste così felice, ho fatto ricerche in diversi archivi, ho intervistato decine e decine di persone, ho scritto monologhi teatrali, visto non so quante partite di calcio attraverso le digitalizzazioni dei club Brasiliani, ho percorso ventimila chilometri. E poi, certo, mi sono chiuso in una stanza piccola, seduto su una sedia scomoda, appoggiato a un computer vecchio, naufragando in uno stagno di appunti, libri, fogli, registrazioni: e ho scritto, pensando alle potenzialità di linguaggi che ha una narrazione di un film documentario e all’intimità di un drammaturgo teatrale, che non voglio manchino mai alla mia scrittura.
A quale progetto ti stai dedicando attualmente?
Ad un libro illustrato per ragazzi di 10-14 anni. Posso dirti poco, più che altro per scaramanzia, non perché importi molto a nessuno dei mie progetti, ma è una bella storia, e i ragazzi di quell’età devono “essere trattati” con grandissima serietà. Non gli si racconta favole, perché la loro immaginazione e la potenza della loro sensibilità è devastante, e può annientare ogni goffaggine di un adulto. Quindi sarò serio, allo stesso tempo cercherò di divertirmi e – come appreso da Gianni Rodari – non farò nessuna morale: racconterò una storia, punto.
C’è poi un altro progetto a cui sono molto legato, di cui parleremo più in là.
Molto volentieri! E ora un domanda a tema libero: sei libero di raccontare quello che preferisci…
Quel che ti dico – liberamente – è che dopo quasi sette mesi dall’uscita del libro (tre ristampe e quasi 30 presentazioni in giro per l’Italia) quel che mi ha particolarmente colpito è stata una sorta di narrazione successiva, frammentata ma tentacolare, condivisa con le tantissime persone che mi hanno scritto, chiedendomi approfondimenti su alcuni temi o volendo raccontare alcuni ricordi personali su Sócrates, sulla propria visione, e memoria di Sócrates nella loro vita. E mentre il libro ha avuto il suo punto finale, chiudendo quella storia, questo scambio continuo è ancora aperto, libero, e decisamente prezioso.