Week-end, scritto nel 1983, è l’ultimo testo della trilogia (assieme a Notturno di donna con ospiti e Le cinque rose di Jennifer) che Annibale Ruccello definiva Teatro da Camera. Considerata una delle migliori opere del drammaturgo campano ed anche una delle meno rappresentate, andrà in scena fino al 20 ottobre al Teatro della Cometa.
Week-end
Di: Annibale Ruccello
Regia: Luca De Bei
Con: Margherita Di Rauso, Giulio Forges Davanzati, Brenno Placido
Scene: Francesco Ghisu
Costumi: Lucia Mariani
Produzione: I Magi srl
Dal 24 settembre al 20 ottobre 2013 – Teatro della Cometa, Roma
Solitudine. Una parola che al solo pronunciarla esprime già di per sé il suo intrinseco significato: un mondo dietro una parola, in cui ognuno di noi, per svariati e personali motivi, almeno una volta nella vita ci si potrebbe ritrovare catapultato dalla testa ai piedi.
Solitudine è la parola che meglio potrebbe descrivere lo spettacolo Week-end, o per meglio dire è la chiave che spinge ad entrarvi dentro e a comprenderne le sue sfaccettature. Nel fine settimana in cui è compreso l’arco narrativo del testo, Ida è una professoressa di lingue che impartisce ripetizioni ad uno studentello svogliato, accoglie un aitante idraulico per sistemare uno scaldabagno apparentemente funzionante, lasciandoli così entrare entrambi non solo nell’intimità del suo appartamento ma anche della sua vita, portando l’intera drammaturgia ad oscillare tra la trasgressione dei sogni più reconditi e nascosti di Ida e la realtà dei fatti accaduti in quel weekend.
La scena è la costruzione dettagliata del salotto della professoressa con tanto di divano davanti alla televisione, tavolino in cui correggere e fare i compiti di scuola, specchio alla parete, lampade disseminate un pò ovunque, mobiletto con liquori e giradischi e soprattutto un grande finestrone sulle quinte da cui proviene incessantemente il rumore del caos quotidiano.
La storia di Ida è la storia di una donna sola, una donna che tornando a casa da lavoro riempie le sue giornate di sigarette, liquori e pose da diva allo specchio con musiche francesi di sottofondo degli anni 30 e 40 che forse sottolineano quanto sia forte il desiderio di appartenere ad un’altra epoca, a un’altra vita. Un ruolo fatto dunque per lo più di silenzi, di solitudine tra le pareti domestiche; un ruolo magistralmente interpretato da Margherita Di Rauso, che dovendosi spesso avvalere di soli sguardi per indicare il suo stato d’animo, risulta perfetta per un ruolo che mostra ogni lato dell’inconscio umano, dalla solitudine alla voglia di essere altro, da ingenua professoressa di liceo a predatrice sessuale, da insicura e impaurita vittima a carnefice.
È affiancata dalle valide spalle dello studentello Brenno Placido, ovvero l’occhio esterno, il giudizio di chi si trova fuori dai drammi intimi della protagonista; e l’idraulico Giulio Forges Davanzati che al contrario è il desiderio, la felicità maliziosa di venir considerati, ma anche il sentirsi appagati e poi inevitabilmente il sentirsene sazi e annoiati.
È uno spettacolo che non vuole insegnare, non vuole dare morali nè indicazioni di senso in modo esplicito; è uno sguardo, un occhio curioso nella vita di una donna sola, forse infelice e di un particolare weekend in cui la sua solitudine viene spezzata dall’arrivo di qualcuno dall’esterno. Forse una metafora della vita o più propriamente una sapiente e veritiera rappresentazione della fragilità dell’essere umano.