Al Teatro India, dal 2 al 28 marzo, dopo il debutto al Festival dei Due Mondi di Spoleto e le repliche al Piccolo Teatro Studio di Milano, In cerca d’autore, studio sui Sei personaggi diretto da Luca Ronconi.
In cerca d’autore
Da: Luigi Pirandello
Regia: Luca Ronconi
Con: Massimo Odierna, Luca Mascolo, Sara Putignano, Lucrezia Guidone, Fabrizio Falco, Paolo Minnielli, Elisabetta Misasi, Alice Pagotto, Davide Gagliardini, Chiara Mancuso, Rita De Donato, Elias Zoccoli, Remo Stella, Andrea Volpetti, Andrea Sorrentino
Assistente alla regia: Luca Bargagna
Sarta: Eleonora Terzi
Dal 2 al 28 marzo 2013 – Teatro India, Roma
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L’irruzione dei sei personaggi in cerca d’autore durante le prove di una compagnia e la loro richiesta-pretesa che gli attori si prestino a rappresentare il loro dramma consente letture su più livelli, che evidenzino di volta in volta uno o alcuni dei temi toccati dal testo: la contrapposizione tra essere e apparire, tra la persona e il personaggio; la possibilità di immedesimarsi negli altri e il ruolo dell’artista; il teatro nel teatro. Quest’ultimo, in particolare, essendo anche il più facilmente concretizzabile in una messinscena, è di solito l’elemento che per primo si cerca di far risaltare quando si decide di portare in scena i Sei personaggi di Luigi Pirandello. Con una precisa presa di posizione, è anche quello che, per quanto possibile, Luca Ronconi ha deciso di minimizzare – o quantomeno non esaltare – nel suo studio, che s’intitola soltanto In cerca d’autore.
Ritenendo infatti che, in un’epoca in cui la realtà virtuale gode quasi dello stesso spazio della realtà reale la contrapposizione tra reale e immaginario abbia perso di significato, nella sua riduzione Ronconi ha preferito invece concentrare la propria attenzione sulla resa episodica dei drammi dei personaggi, quasi glissando del tutto sul loro inadeguato rifacimento da parte degli attori e ponendo piuttosto l’accento sull’urgenza dei sei personaggi di dare forma compiuta alla propria vicenda. Urgenza che appare manifesta sin dal modo di presentare i personaggi, intimamente – e, in certi casi, anche esteriormente – storpi, abbozzati, rantolanti, asfissiati dalle tenebre di una mancata realizzazione. Lontanissimi dalla verosimiglianza, sono tutti affetti da un qualche disturbo, legato al proprio dramma personale: la madre, che vive perennemente quell’unico, traumatico attimo in cui colse il padre e la figliastra insieme, è efficacemente monotòna; la figliastra, ossessionata dall’incesto a stento scampato fin quasi alla follia, ha perso la capacità di esprimersi in tonalità umane; il figlio, che nulla vuole avere a che fare con questa storia, evita il più possibile di portarsi al centro della scena, preferendo spostarsi rasente muro.
Meno convincente appare, a questo punto, la scelta dell’estrema affettazione degli attori, che di solito si accompagna a un’interpretazione iper-realistica dei personaggi. Qui sembra invece che una realtà normale non sia possibile né da una parte, né dall’altra: per i personaggi, per via della deformazione congenita al loro essere dei semplici abbozzi; per gli attori, per via della deformazione acquisita con la professione. O magari, chissà, congenita all’essere umano in quanto tale, forse anch’esso prodotto abbozzato di una qualche mente superiore. Ma una reale giustificazione non c’è e non viene perseguita.
Rimangono però di certo la splendida prova degli attori tutti, l’eleganza della confezione e della tecnica, la chiarezza quasi carnale del legame familiare dei sei, entità abbozzate ma a cui si concederebbe volentieri il dono – o il dramma, a seconda dei punti di vista – della vita.