Al Teatro Argentina, da 9 al 14 aprile, Luca Ronconi porta in scena La modestia, uno dei sette testi che costituiscono l’Eptalogia di Hieronymus Bosch dell’attore, regista e drammaturgo argentino Rafael Spregelburd: nella sua opera con una provocante ironia tragica l’autore cataloga la modestia tra i sette peccati capitali in uno spiazzante ribaltamento in cui virtù e vizio si confondono.
La modestia
di: Rafael Spregelburd regia: Luca Ronconi traduzion:e Manuela Cherubini con: Francesca Ciocchetti, Maria Paiato, Paolo Pierobon, Fausto Russo Alesi impianto scenico: Marco Rossi luci: A. J. WeissbardDal 9 al 14 aprile 2013 – Teatro Argentina, Roma.
Sul palcoscenico del Teatro Argentina accoglie gli spettatori un pannello scuro su cui, a mo’ di lavagna, un tratto bianco gessato riporta i dati dello spettacolo che sta per cominciare: titolo, nomi degli attori, durata. E’ così che comincia, nel nuovo ciclo di rappresentazioni, quella che due anni fa era stata la prima lezione che l’autore Rafael Spregelburd e il regista Luca Ronconi avevano preparato per il pubblico: quella riguardante il peccato di modestia.
Ispirato dalla visione della tavola intitolata I sette peccati capitali del pittore olandese Hieronymous Bosch e dalla sua consueta visione allegorica del mondo fisico e metafisico in cui elementi apparentemente opposti si confondono infine in un’unica entità, l’autore sostituisce i sette vizi canonici della tradizione cristiana creandone altrettanti mascherati da virtù. Così i peccati che condannano l’uomo contemporaneo diventano L’inappetenza (Lussuria), La stravaganza (Invidia), La modestia (Superbia), La stupidità (Avarizia), Il panico (Accidia), già rappresentato da Ronconi, La paranoia (Gola) e La cocciutaggine (Ira).
Il testo de La modestia comprende due vicende, lontane nel tempo e nello spazio, ma tra loro mescolate in un equilibrato succedersi di scene riguardanti alternativamente l’una o l’altra. Ad interpretarle quattro attori – Francesca Ciocchetti, Maria Paiato, Paolo Pietrobon e Fausto Russo Alessi – ad ognuno dei quali è affidato un ruolo in ciascuna delle trame e che passano da una all’altra come le vittime delle metamorfosi ovidiane. Afferma Ronconi: «I personaggi non sanno mai fino in fondo a quale vicenda appartengono. E neanche gli attori forse ne sono consapevoli. Lo slittamento tra le varie identità trasforma La Modestia in un thriller».
Ed è questo il più eclatante e sconcertante indizio di ciò che vuole essere la modestia secondo Spregelburd: l’incapacità di ognuno dei personaggi di mantenersi integro ed essere un’identità. L’impossibilità di interpretare con convinzione e consapevolezza la parte che gli è stata assegnata è il sintomo principale della modestia negativa di cui intende parlare il regista. Tutti i personaggi sulla scena, chi in modo più esplicito, chi in modo più enigmatico, sono vittime di questo sentimento: sono afflitti dalla volontà di rimanere nell’ombra, sminuendosi per lasciar in luce qualcuno di più meritevole – «Io mi sono mortificata per dare valore all’uomo che amavo!» ammette Anja solo dopo la morte del marito – o semplicemente per il gusto puerile di cullarsi nella superba incertezza dell’essere-in-potenza, stato in cui si potrebbe essere tutto, proprio perché non lo si è.