Luca Zingaretti: La torre d'Avorio

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Dopo il successo televisivo e cinematografico Luca Zingaretti torna a teatro con La torre d’avorio, in scena al Teatro Eliseo di Roma dal 26 febbraio al 24 marzo 2013

La torre d’Avorio
autore: Ronald Harwood
traduzione: Masolino d’Amico
con: Luca Zingaretti, Massimo De Francovich, Peppino Mazzotta, Gianluigi Fogacci, Elena Arvigo, Caterina Gramaglia
scene: Andrè Benaim
costumi: Chiara Ferrantini
luci: Pasquale Mari
regia: Luca Zingaretti

Dal 26 febbraio al 24 marzo 2013 – Teatro Eliseo, Roma

 

«C’è sempre una domanda alla quale un colpevole non sa rispondere».

In un regime politico criminale, l’artista deve continuare a svolgere la sua attività perché la cultura sia la scintilla da cui risorgere, o accettare il compromesso significa rendersi complici? La domanda resta aperta nel testo di Ronald Harwood e nello spettatore si insinua prepotente un dubbio che gli impedisce di schierarsiTaking sides è il titolo originale dell’opera.

L’intellettuale o l’artista nella sua torre d’avorio, sereno e distante dalle vicende sociali e politiche, è una figura che attrae e respinge, affascina e indispettisce. Di fronte alla tragedia dell’olocausto il disinteresse si fa colpevole.

 Luca Zingaretti interpreta il maggiore Steve Arnold, militare poco incline alla seduzione dell’arte. Un americano indignato dalle ingiustizie perpetrate dalla dittatura di Hitler. Non sopporta Beethoven. Non sopporta che in nome dell’Arte si dimentichi un dovere fondamentale come quello di opporsi ad un regime.

Attraverso uno schema di domande collaudatissimo porta tutti gli interrogati a confessare il loro coinvolgimento con il nazismo. Con il direttore d’orchestra Wilhelm Furtwängler – Massimo de Francovich -, però, il meccanismo si inceppa. I due personaggi, così diversi, sembrano fatti della stessa pasta. Un silenzio non li preoccupa. Da attori consumati possono vivere una lunga pausa in attesa di una confessione che non arriverà.

L’intera pièce si svolge all’interno dell’ufficio del maggiore Arnold. La scena è ferma, gli attori spesso seduti. Sta allo spettatore selezionare, scegliere le inquadrature. C’è molto cinema nella regia di Zingaretti. La quarta parete teatrale è uno schermo impenetrabile. La recitazione è impeccabile e misurata e la scenografia realistica sembra un set cinematografico. Gli attori però, pur essendo completamente immersi nella scatola scenica, riescono a entrare in contatto con lo spettatore, a scuoterlo. Al termine dello spettacolo si è fortemente motivati a cercare delle proprie valide ragioni per schierarsi, ed è qui che arte e politica per un attimo si incontrano.

 

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