«…io, ancorché multinazionale, darei l’intera Montedison per una lucciola»: si apre con questa citazione di Pier Paolo Pasolini la proiezione al Cinema Aquila del nuovo documentario di Stefano e Mario Martone Lucciole per lanterne che poco ha a che vedere con il celebre proverbio che invita a non scambiare “fischi per fiaschi”.
Lucciole per lanterne, di S. e M. Martone, Ita 2013, 45’
Fotografia: Stefano Martone
Riprese e interviste: Stefano Martone, Mario Martone, Sebastian Arellano
Montaggio: Mario Martone
Suono: Davide Mastropaolo
Voce: Paolo Cresta
Produzione: Vitaliana Curigliano per AUDIOIMAGE
Produzione: ProduzionidalBasso
Qualcosa dal valore inestimabile è divenuto materia di scambio: i fiumi della Patagonia, le terre incontaminate, i boschi, le case… le lucciole. Quale prezzo paghiamo per accendere “lanterne”? A questo interrogativo cercano risposta i giovani registi tra le pieghe della recente storia della Patagonia cilena.
Il film-documentario, che ha concorso al Festival Cinema Ambiente di Torino come prodotto d’arte e d’utilità al contempo, nasce dal sostegno ricevuto da parte degli utenti delle ProduzionidalBasso, sensibilizzati dalla campagna attivista contro la costruzione di dighe nei superstiti paradisi naturali del nostro mondo, oltre che dal forte senso di responsabilità che ciascuno dovrebbe avvertire riguardo lo Sviluppo Sostenibile del pianeta.
I registi ci conducono nelle terre più remote della Patagonia, ci fanno raccontare le storie di chi avverte in prima persona il timore che la vita, come l’ha da sempre conosciuta e vissuta, gli venga strappata via da una multinazionale. Ciò che più fa rabbrividire, oltre gli sguardi accesi di rancore e paura che seguono la macchina da presa quasi implorando sostegno e supporto, oltre le immagini di una delle protagoniste, Berta, oltre tutte le altre donne intervistate e gli squarci di città ripresi senza filtri, è un graffito: troneggia su un muro ed è protagonista di un’importante fase della ripresa. Rappresenta un’enorme conduttura d’acqua da cui solo poche gocce ancora cadono, serrata da un catenaccio su cui è inciso il nostro tricolore. Già, perché il consorzio costruttore di bacini artificiali è composto da compagnie locali, canadesi e spagnole tra cui spicca il nome di Endesa, controllata dalla nostra Enel.
«Quanto costa la vita di Tortel?» chiedono gli imprenditori a chi ancora tenta di opporre resistenza. «Dicono che ci porteranno in un posto uguale e migliore, ma questo posto non esiste da nessun’altra parte», replica chi non vuole soccombere. Lo straordinario lavoro dei registi ha concesso anche a noi spettatori di arrivare in Patagonia, di seguire le storie, i racconti, la vita di un popolo che sta per perdere tutto, travolto da una “fiumana di progresso” che travolge ciò che riesce ad avere a tiro, senza pietà alcuna. Le nostre coscienze sopite si risvegliano, non si può restare indifferenti: per ogni lanterna che noi accendiamo oggi – e ne accendiamo fin troppe – da qualche parte si spegne una lucciola, si prosciuga un fiume, si inaridisce una terra che sfamava animali e popolazione, si distruggono case e si perdono ricordi, si stroncano memorie, sorrisi e speranze. E’ uno sguardo lucido e disincantato quello che la macchina da presa rivolge a una realtà davvero dura da digerire, ma la voce fuori campo di Paolo Cresta ci avverte: «Finché il capitalismo non capirà che non è possibile attingere al mondo intero come propria risorsa d’energia, non ci sarà limite al peggio». Ecco, gli spettatori, gli autori e i produttori di questo film documentario stanno cominciando a urlare “Basta!”, ed è davvero ora che qualcuno venga ascoltato.