Lucia Calamaro | La Vita Ferma

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la vita ferma

di Lucia Calamaro

con Riccardo Goretti, Alice Redini, Simona Senzacqua

assistenza alla regia Camilla Brison

scene e costumi Lucia Calamaro

contributi pitturali Marina Haas

direttore tecnico  Loic Hamelin

 

13 Maggio, Teatro India, Roma

Quando si parla di morte in uno spazio che respira vita come quello del teatro lo si deve sempre fare con la giusta dose di coscienza e imprudenza. Lucia Calamaro ne La Vita Ferma, sguardi sul dolore del ricordo, parla di morte e di morti in un dramma di pensiero che scoppia di vita: «che succede con i morti, con i nostri morti, una volta che non sentiamo più il dolore per la loro perdita, in che modo vivono dentro di noi?». Da questa domanda priva di risposta verbale immediata nasce lo spettacolo della drammaturga romana che sviscera, viviseziona, scompone con una spietata cura l’intero processo di incontro digestione e smaltimento del dolore, del pathos nell’animo umano.

La trama orizzontale dello spettacolo è estremamente semplice: la morte di un essere umano che è donna, moglie e madre che segna indissolubilmente la vita di una famiglia. Uno strappo nel quotidiano di una madre, un marito e una figlia dunque e l’agire della morte prima, durante e dopo lo strappo, quando questo grande evento inspiegabile e immutabile entra in contatto con il ricordo e con il dolore che questo ricordo porta con se. Questi “temi di una gravità impossibile” agiscono all’interno di tutti e tre i protagonisti: la paura di essere dimenticati, di non esistere più da parte di chi sa che sta per andarsene o se n’è già andato – da qui il dolce, ironico e quanto mai straziante appello della madre agli spettatori «Non voglio che mi si dimentichi. A te ti va? Di ricordarti di me, tutta intera?» –  e il dolore da parte di chi rimane; un dolore che inizialmente è una boa di salvataggio, sulla quale ci si aggrappa, quasi in maniera ostinata e che poi diventa groppo, diventa ingombro, diventa nemico, diventa vapore ed infine memoria. Ed è su questi ultimi processi che agiscono per tutta la vita in una crudele digestione senza interruzione  che Lucia Calamaro pone la sua attenzione e le sue domande: cosa rimane nel momento in cui il dolore non c’è più, nel momento in cui la sopravvivenza e la resilienza hanno la meglio sul passato moribondo, nel momento in cui non si può più “ ricordare interamente, al limite dello sfarzo “ , cosa accade quando il ricordo di quel corpo una volta indispensabile che non si può più rimpiazzare diventa ” un’immagine casuale “ e raffazzonata, una sensazione alla quale non ci si vuole più aggrappare ma dalla quale si vuole solo disperatamente scappare. Non c’è un’unica risposta a tutti questi quesiti che lo spettacolo pone, non c’è nessuna mappatura dei passi da seguire nel momento in cui nell’indifesa vita di un essere umano avviene tutto ciò, c’è forse nella visione della Calamaro un’amara rassegnazione sul tempo che devasta, un giudizio sull’inevitabile voglia di sopravvivere e sulla “specie dei vivi che guarda poco e male alle specie dei morti”.

I personaggi della Calamaro sono personaggi emotivi, malinconici, nevrotici, codardi, dubbiosi, esseri umani a tutto tondo portati alla luce da attori pronti a mettere in gioco la propria emotività e il proprio io al servizio della scena. Simona Senzacqua, Riccardo Goretti e Alice Redini fanno affezionare lo spettatore alle loro debolezze creando con quest’ultimo un continuo dialogo ironico e amaro, molto spesso diretto, rompendo elegantemente la quarta parete. I tre protagonisti naufragano in uno spazio scenico con pochi ed essenziali elementi che vengono sfruttati sapientemente e che creano continuamente luoghi differenti, spesso onirici: così, delle sagome di cartone colorate sospese a mezz’aria diventano tombe in un cimitero o tante biglie rovesciate da un secchio trasformano uno spazio domestico in un planetario e ci portano indietro nel tempo.

La Vita Ferma parla di storie, sentimenti universali e lo fa con un linguaggio diretto, con parole sincere, con emozioni scomode perché forti, in un modo semplice eppure incomprensibile, come la vita stessa.

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Autore

Giulia Chiaramonte

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