EU 013 L'ultima frontiera

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Il 10 gennaio al Nuovo Cinema Aquila è stata proiettata l’anteprima romana de L’Ultima Frontiera, opera di Raffaella Cosentino (co-autrice) e Alessio Genovese (regista) presentata alla 54esima edizione del Festival dei Popoli e in concorso all’IFFR, il Festival Internazionale del Film di Rotterdam.

L’Ultima Frontiera, di A. Genovese, Ita 2013. 62′

Soggetto, Sceneggiatura e realizzazione: Raffaella Cosentino e Alessio Genovese

Montaggio: Dario Indelicato

Fotografia e Operatore: Bruno Fondarò

Suono: Andrea Colaiacomo, Gianluca Stazi

Grafica: Matteo Mangonara

L’Ultima frontiera è il primo film realizzato all’interno dei C.I.E, i centri d’identificazione ed espulsione italiani, che hanno competenza operativa all’interno dell’aria Schengen.

L’ombra di un viaggio alla ricerca della speranza si proietta lunghissima sotto il sole del mezzogiorno. Ciascun immigrante sembra perder quell’ombra come arriva all’interno dei centri di identificazione evidenziando uno smarrimento che deriva dalla scissione fra un passato che non può scrollare dalle sue spalle e un futuro che non può raccogliere. Bloccati in un’isola artificiale, in uno spazio di eterotopia, i giovani e vecchi migranti sentono scivolare il proprio tempo sotto il passo del vuoto, dell’oblio.

«In due secondi ha deciso 30 giorni della mia vita» riferisce un ragazzo all’occhio indiscreto della telecamera, riferendosi a quell’arma feroce denominata burocrazia.

Dall’altra parte delle mura, una signora dai tratti duri e la costituzione robusta, con accento romano, istruisce la polizia di frontiera su come riconoscere i soggetti pericolosi prima che entrino sul territorio, poiché una volta vagliata la linea saranno liberi di muoversi e, dunque, incontrollabili. La schiera di caschi blu è solo la prima frontiera per chi espatria verso l’Italia e l’espulsione è un privilegio non concesso a tutti. Infatti il C.I.E è descritto dai giovani, dalle donne intervistate, come un purgatorio che li deruba, giorno dopo giorno, ora dopo ora, del tempo prezioso e delle energie impiegate per cambiare il viaggio della loro vita.

Il film cambia location fra l’aeroporto di Fiumicino e il porto di Ancona, mostrando quelle operazioni preliminari che per noi appaiono banalmente normali: controllo dei passaporti, del visto, impressione delle impronte digitali e così via. Il regista parla delle difficoltà delle riprese, eseguite senza sopralluogo, in spazi angusti e con una troupe ridotta a quattro persone – i due registi, un direttore della fotografia e il fonico. Grazie a un permesso del Ministero dell’Interno, gli autori sono entrati in uno spazio dove neanche i politici o i senatori erano mai passati.

Un film coraggioso che segna un altro passo avanti nel cinema italiano e la nostrana passione per quello zavattiniano pedinamento della realtà che cattura gli sguardi, i caratteri, e i moti dell’animo umano.

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