L’UMANA ETERNITÀ DEL RINASCIMENTO

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Passeggiando per l’affollata e rumorosa strada di Via del Corso, distratti dalle luci dei suoi negozi, ad un tratto qualcosa ci cattura e travolge: Palazzo Sciarra, sede della Fondazione Roma Museo, ospita la mostra Il Rinascimento a Roma, nel segno di Michelangelo e Raffaello.

Le gigantografie dei quadri poste all’esterno dell’edificio trapelano quieta serenità e invitano ad entrare a vedere. Dentro, la sensazione di eternità è totale: luci soffuse, pareti neutre ed arcate accolgono, come in un abbraccio, le pennellate vivaci, forti e decise di quei pittori che hanno raccontato il ricco momento culturale del ‘500 romano. Protagoniste assolute sono proprio le opere d’arte presenti: non solo dipinti, ma anche imponenti statue marmoree, lussureggianti ceramiche, minuziose incisioni che ci raccontano e descrivono la rinascita culturale della Città Eterna dopo la Riforma luterana. Percorrendo la prima sala si gusta la forza evocativa del ritratto: non solo quello che Raffaello fece di se stesso, ma anche quello dedicato a Tommaso Inghirami e a Papa Giulio II.

Palpabile è l’anima stessa di quei personaggi che inquieta e incerta, si coglie grazie all’espressività del viso: la lucida iride marrone racchiudente uno sguardo ansioso e trasognante, l’incarnato scavato e nettamente definito, donano sensazioni di austerità e inquietudine anche grazie al panneggio purpureo, scuro e pesante degli abiti che immobilizza l’opera.

Serenità interiore, sacralità dell’amore e pienezza spirituale irrompono, invece, dai dipinti sulla natività. Di fronte alle Sacre Famiglie di Piero Buonaccorsi, allievo di Raffaello, si è colpiti da diverse suggestioni. Il contrasto tra i lineamenti gentili dei visi eterei e la regalità e sfarzosità degli abiti di Maria, vestita di un manto dal colore rosa e blu con pieghe ampie e definite, si lenisce quando lo sguardo dello spettatore, grazie all’uso che il pittore fa della luce, coglie la gestualità dei personaggi. La Madre del Salvatore diventa “mamma” dell’umanità intera, nel momento in cui il Bambino che stringe a sé si aggrappa al suo stesso manto regale, quasi a chiedere, in quel gesto di protezione, uno scambio di complice tenerezza.

Ci si dimentica della sacralità religiosa dell’immagine e della devozione: ciò che si percepisce totalmente è l’amore terreno nell’autenticità del suo primordiale momento, quello dell’affetto incondizionato di una madre per il proprio figlio.Il ridimensionamento della sfera religiosa è una costante presente in tutte le opere esposte nella mostra e si nota anche nel recupero della classicità, visivamente descritta dall’elemento bucolico e dal paesaggio: un locus amoenus incorniciato in colonnati greci, tempietti, lussureggiante vegetazione e feroci animali.

Un mondo mitologico metamorfizzato che si dà anche nella statua dell’Apollo-Davide di Michelangelo e nel Gruppo di Dioniso ed Eros risalente alla prima metà del II secolo d.C. . Se non fosse la guida ad indicarci che si tratta di opere di scultori diversi, la torsione muscolare, lo sguardo deciso e forte, l’anatomia del corpo tornito e plastico, la posa morbida e naturale possedute da entrambe le statue, ingannerebbero sulla paternità. Mentre mi muovo intorno alla statua si schiude davanti a me uno scenario affascinante: tre affreschi dediti alla Pietà, una di Michelangelo, l’altra di Taddeo Zuccari e l’ultima di Jacopino del Conte.

La forza espressiva è esorbitante, la carica emotiva enorme: la sofferenza scavata nel volto della Madonna-madre, quell’urlo umano silenzioso e composto, stride con la sacra serenità del Cristo risorto a luce eterna. Le pennellate sono ampie e decise, i colori del tessuto accesi, brillanti: la pienezza vivente della Madre si oppone contro alla scarna fisicità del Figlio, anatomicamente disegnato come un corpo morto, pallido e inerme. Nonostante il mezzo comunicativo sia la genialità creativa delle pennellate di colore, lo spazio è identificato con il microcosmo dell’uomo, con le sue emozioni e inquietudini: tenerezza e tristezza, gioia e dolore, amorevolezza e carità, non sono più circoscritti all’afflato sacro religioso, ma si ergono a linguaggio universale.

Se nel ‘500 l’uomo è la misura di tutte le cose, le opere del Palazzo Sciarra offrono la possibilità di far dialogare i noi stessi moderni con i riscoperti valori universali, onnipresenti e imperituri nei secoli.

IL RINASCIMENTO A ROMA, NEL SEGNO DI MICHELANGELO E RAFFAELLO

Fondazione Roma Museo, Palazzo Sciarra, via M. Minghetti 22,

25 ottobre 2011-12 febbraio 2012,

foto Piero Buonaccorsi, detto Perin Del Vaga, Sacra Famiglia, olio su tavola, 1545-1546­­, Melbourne, National Gallery of Victoria, Felton Bequest.

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Autore

Valentina Cucchiaroni

Caporedattrice della sezione Arte di Nucleo Artzine, appassionata della scena artistica contemporanea, ha studiato filosofia teoretica alla Sapienza di Roma.

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