Un sogno di rinnovamento morale e ideale oltre che estetico, questa è la luce sotto la quale la nota storica delle avanguardie Claudia Salaris presenta il Futurismo, in occasione del terzo incontro del ciclo di conferenze L’arte pubblica nel ‘900. Il mito dell’uomo nuovo, in corso al MAXXI di Roma.
Il discorso della studiosa romana ha preso le mosse e non poteva essere diversamente, dalla figura di Filippo Marinetti, quell’artista poliedrico che con un’esaltazione quasi prometeica irrompe all’inizio del XX secolo, scompaginando il programma culturale europeo.
Marinetti, personaggio fuori dalle righe, non solo interpreta nella sua stessa persona alcuni degli aspetti del tanto esaltato uomo nuovo, ma appare ai nostri occhi sempre più contemporaneo e non così distante dall’uomo attuale. Si rivela capace di cavalcare i mezzi di comunicazione e donare celebrità al suo progetto, definito movimento molto prima di diventarlo.
Sta forse qui una delle ragioni del rinnovato interesse per il futurismo che anima mostre, retrospettive e pubblicazioni? Sta forse nell’abilità di parlare al grande pubblico in un vorticoso infittirsi di relazioni fra le arti, la politica e la società uno delle ragioni della fascinazione per la materia e per il personaggio?
Quella messa in campo da Marinetti, ha spiegato efficacemente la Salaris, è una ricerca di novità necessaria, che prende atto del mutamento subìto dalla psiche umana la quale, in seguito all’avvento della società dei grandi numeri e dunque rinnovata nella sua sensibilità, risponde a stimoli diversi ed entusiasmanti. La mente dell’uomo si fa simultanea perché simultanee sono le comunicazioni, si fa veloce perché veloci sono gli spostamenti, si fa violenta perché violento è il mondo in cui vive. Rispecchia il mondo in cui si muove quotidianamente: una terra rimpicciolita dalla velocità, per usare le parole di Marinetti. Parole che ricordano emblematicamente l’idea di villaggio globale che Marshall McLuhan teorizzerà solo più di cinquant’anni dopo.
L’uomo nuovo non solo usa la macchina, verso la quale prova un entusiasmo aurorale, ma la sottomette e finisce per assomigliarle tendendo ad un modello di uomo metallizzato che in ultima istanza, grida il futurismo, si libera del quieto vivere e dei buoni sentimenti.
L’emblema della macchina riecheggerà nei decenni a seguire in molte altre occasioni, una fra tutte la machine-à-habiter di Le Corbusier (1923), dimostrando ancora una volta il potenziale intuitivo del movimento futurista.
Il modello dell’uomo da rifondare, tutto teso verso il sogno di un futuro tecnologico, si aggancia però, allo stesso tempo, ad una primordialità che lo lega alla concretezza della vita, lo libera delle sovrastrutture mentali e lo riporta anche ad una dimensione istintiva perduta.
Si tratta di caratteri che si ritrovano in tutte le manifestazioni artistiche prodotte dal futurismo in più di trent’anni e che investono tutte le arti giungendo alla politica -a volte con esiti ben più tristi-, alla morale e al costume, passando attraverso l’arte applicata, il design, la moda, la grafica e la pubblicità.
ARTE PUBBLICA NEL ‘900, IL MITO DELL’UOMO NUOVO
MAXXI, dal 26 ottobre 2011 all’11 aprile 2012
Ideazione e organizzazione: FAI – Fondo Ambiente italiano, Delegazione Roma
Fotografia storica: da sinistra Luigi Russolo, Carlo Carrà, Filippo Tommaso Marinetti, Umberto Boccioni, Gino Severini