Artista AA.VV.
Titolo I macchiaioli | Le collezioni svelate
A cura di Francesca Dini
Promossa da Dart– Chiostro del Bramante e Arthemisia Group
Luogo Chiostro del Bramante – via arco della pace 5 http://chiostrodelbramante.it/info/i_macchiaioli_le_collezioni_svelate/
Dal 16 marzo al 4 settembre 2016 Per la seconda volta a Roma, dopo l’evento svoltosi nel 2007, è stata organizzata una esposizione dedicata ai macchiaioli, la più importante corrente artistica italiana della seconda metà dell’Ottocento. Per comprendere meglio questa corrente italiana bisogna contestualizzarla nel suo periodo storico: il movimento macchiaiolo nacque a Firenze, che al tempo era la capitale di un’Italia ancora divisa, e i vari artisti erano soliti riunirsi al Caffè Michelangelo tra il 1850 e ’60. Nel 1862 costoro furono con disprezzo definiti da un articolista “macchiaioli”. Poco dopo, nel 1863, a Parigi, si tenne il Salon des Refusés e nel 1874 si svolse la prima mostra ufficiale impressionista nello studio di Nadar. Per quanto impressionisti e macchiaioli abbiano in comune due termini nati come dispregiativi e abbiano stretto un legame grazie ad alcuni italiani che si trasferirono in Francia, come De Nittis, Boldini e Zandomeneghi, gli intenti pittorici erano però diversi. Per il successo e la maggior diffusione dell’Impressionismo francese oggi il termine “macchia” può risultare fuorviante: non indica la frantumazione dell’immagine come ad esempio si può osservare in Van Gogh o Monet, ma ci si riferisce alla stesura del colore in ampie zone in modo da definire sinteticamente i volumi. I macchiaioli semplificano la visione accostando parti in ombra con altre in luce mentre gli Impressionisti ne fondono una nuova usando colori soggettivi. L’intento macchiaiolo, come sarà quello impressionista, contesta il gusto sociale dell’epoca per le opere accademiche, già da tempo contraddistinte da temi storici con intenti moraleggianti ed etici, caratterizzati da una stesura pittorica liquida, dove i colori sono resi come smalto liscio che annulla così la matericità della pennellata. L’unica tecnica pittorica accettata era quella che adoperava venature e sfumato, coi macchiaioli invece si abbassano i contrasti chiaroscurali, adoperando una scansione cromatica per masse. Ne deriva una pittura equilibrata, concreta e legata alla quotidianità, priva di retorica, soprattutto incentrata sul paesaggio. Lo sguardo è assorbito da ampie vedute, la cui cromia trasmette un senso di quiete e serenità, mentre le ambientazioni concrete paiono incantate, quasi fiabesche. La scelta dei quadri presentati al Chiostro del Bramante è innovativa poiché si ricreano in parte nove collezioni storiche dei primi mecenati e sostenitori del movimento. Le opere d’arte ricostruiscono l’epoca e il sentire degli artisti, i legami affettivi e le amicizie nate tra i collezionisti e i vari pittori. Punto d’inizio è la galleria di Cristiano Banti, che a detta del suo amico artista Adriano Cecioni fu un ponte tra l’arte accademica e i primi tentativi della macchia. Tra questi c’è il ritratto della figlia Alaide Banti, restaurato esclusivamente per quest’evento così come altre quattro opere esposte di seguito. “La Senna” di Alphonse Maureau può essere considerata come la sintesi tra lo stile macchiaiolo, esemplificato dagli alberi, e quello impressionista che si stava diffondendo in quegli stessi anni a Parigi nella resa pittorica dell’acqua e dei suoi riflessi. Alcuni paesaggi ricordano per soggetto e per cromia quelli di Jan Vermeer (1633-75) ad esempio “Dalla cantina di Diego Martelli” di Giuseppe Abbati o “L’analfabeta” di Odoardo Borrani, altri invece per la resa pittorica veloce e graffiante rievocano un altro olandese, Adriaen Brouwer (1605-38), esempio è il “Marinaio livornese” di Giovanni Fattori.
La collezione più numerosa era quella di Rinaldo Carnielo che venne dispersa a cavallo tra le due guerre. Oggi infatti queste opere sono per lo più confluite in collezioni private. Inedita è la presenza dell'”Uliveta a Settignano” di Telemaco Signorini della collezione di Edoardo Bruno, della quale sono esposte anche i grandi quadri di Fattori, caratterizzati da una travolgente forza cinetica. Viceversa Gustavo Sforni preferì collezionare i piccoli formati di Fattori, tavolette dipinte dal vero, accostandoli a opere orientali e medievali oltre che ad altri artisti a lui contemporanei. Un altro quadro inedito qui esposto è la “Ciociara” di Fattori della collezione di Mario Galli: è raffigurata una giovane inserviente tedesca amata dall’ormai anziano pittore. Importante fu la figura di Camillo Giussani, milanese che acquistò all’asta le opere della collezione Checcucci avviando così nuove raccolte a Milano. Un restauro realizzato appositamente per la mostra di due tavole intitolate “Tabacco da fumo” e “Tabacco da fiuto”, finora attribuite a Giovanni Segantini, ha rivelato la firma di un altro artista: Mosè Bianchi di Moirago. L’ultima sezione è intitolata a Mario Borgiotti che dedicò ai macchiaioli libri illustrati a colori tra gli anni ’50 e ’60 del ‘900 e riuscendo a recuperare sul mercato inglese “Il Ponte Vecchio a Firenze” di Telemaco Signorini: il suo grande formato risucchia lo spettatore all’ interno della scena e la sua presenza conclude felicemente il percorso musivo.
Nel complesso la mostra è ben riuscita: alcuni tra i quadri scelti coinvolgono e incantano lo spettatore proiettandolo in ambienti luminosi e atmosfere serene. Nota negativa e di grande importanza è la posizione fin troppo alta di certi dipinti che permette di guardarli con difficoltà per la luce dei fari che vi si riflette, ma d’ altra parte questo è un problema comune a più sedi museali.