Maestranze e Maestri – Concerto Bartók per la città di Roma

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E’ nel segno della condivisione e della commistione di culture che si apre, nello splendido scenario del Palazzo Falconieri in via Giulia, l’incontro, organizzato dall’Accademia d’Ungheria, del Concerto Bartok per la città di Roma. La biografia del maestro ungherese, centro dell’introduzione di Giovanni Bietti, viene ripercorsa a sottolineare l’impegno volto al recupero della tradizione musicale popolare e contadina che costituisce il fondamento dell’opera di Bartok, uno dei più grandi etnomusicologi della storia.

Artista: Matteo Fossi e Marco Gaggini

Dove: Accademia d’Ungheria a Palazzo Falconieri, via Giulia 2, Roma

Quando: Venerdì 19 Aprile 2013

Info:

Sito TwoPianosProject

Pagina Facebook dell’Accademia D’Ungheria 

Ascolta:

Mikrokosmos, Volume VI, 145-147

Il Mandarino Meraviglioso

Attraverso la ricerca musicale, Bela Bartok dimostra ed insegna il valore della fratellanza tra i popoli, le cui radici culturali sono leggibili nelle influenze musicali della musica contadina.

E’ in generale offensivo per un popolo se una parte più o meno grande del suo patrimonio culturale deriva da altri popoli?”: così scriveva il compositore nelle sue lettere, testimonianza di uno spessore umano che le difficoltà biografiche non attaccarono. Fu infatti nel 1940 che Bartok decise di abbandonare l’Ungheria alla volta degli Stati Uniti, a causa del clima politico irrespirabile in Europa, ben distante dal suo pensiero liberale. Qui decise di sfruttare la sua esperienza compositiva precedente adattandola ad una reinventata carriera concertistica, in compagnia della moglie, ex pupilla, Ditta Pásztory, anch’essa pianista. Da qui nasce la versione per due pianoforti di sette pezzi della raccolta Mikrokosmos, la versione per due pianoforti della suite opus 4 (n°2) e del dramma coreografico Il Mandarino Miracoloso, proposti sul palco dal duo pianistico Fossi Gaggini.

L’intensità della partitura del Mikrokosmos è riproposta come un dialogo incessante di temi e ritmi che rimandano alla tradizione popolare, fin dallo studio tecnico del n°69 (Studio degli accordi) e dal Ritmo bulgaro del n° 113, all’ Ostinato n°146, passando attraverso lo Staccato e legato (n° 123), il piglio barbarico del Perpetuum mobile (n°135) e l’Invenzione Cromatica (n°145). La finalità didattica delle pagine dell’opera traspare dalla difficoltà tecnica dei brani, attraverso la resa percussiva delle linee melodiche, ma lascia spazio al vigore espressivo che il duo pianistico, riunitosi sotto il progetto Twopianosproject, comunica in sala. Ascoltandoli, sembra di sentire uno strumento rinnovato, capace di esprimersi non solo mediante le sfumature lunari della Serenata (dalla Suite n°2 opus 4) ma anche adottando i tocchi demoniaci dell’Allegro Diabolico, obbligando a guardare oltre, in una indagine del suono completa e vasta che muove da una ricerca timbrica raffinatissima.

In conclusione, la riduzione pianistica de Il Mandarino Miracoloso, una delle tre opere scritte da Bartok, indubbiamente la più controversa, per la tematica scabrosa della violenza dell’uomo sulla donna e la poco velata critica all’alienante società borghese: “Tre teppisti costringono una bella ragazza ad attirare uomini nella loro tana, per poi derubarli. I primi due sono poveri, mentre il terzo è un ricco cinese. È una buona preda, per cui la ragazza lo intrattiene e balla per lui, ma quando il desiderio del Mandarino cresce ed egli si infiamma di passione, la ragazza gli sfugge con orrore. A questo punto i teppisti lo aggrediscono,lo feriscono con una spada, ma è tutto inutile, in quanto non riescono ad uccidere il Mandarino, che continua a guardare la ragazza con occhi pieni di amore e di desiderio. Alla fine, l’istinto femminile interviene e la fanciulla soddisfa i desideri dell’uomo. Solo allora il Mandarino si accascia e muore”. Questa è la descrizione della storia da parte del compositore in un’intervista del 1919.

 A sciogliere dalla tensione accumulata dai passaggi melodici figurativi – ogni personaggio della pantomima è a suo modo caratterizzato da un “motivo” –, i due artisti regalano un pezzo della celebre cantata di Bach Gottes Zeit ist die allerbeste Zeit (BWV 106), meglio conosciuta come Actus Tragicus, che chiude la serata musicale addolcendo l’atmosfera carica di suggestioni.

 La coraggiosa esplorazione musicale di Bartok, fiero esponente della cultura Ungherese, ha trovato degna espressione nella resa pianistica del giovane duo, che nella sua attività si è reso interprete con successo delle pagine di Brahms, Ligeti, Sostakovic, Debussy, aderendo allo spirito universale della musica, come il maestro Bartok suggerì a suo tempo: “Se dunque è lecito sperare che la musica si conservi in un avvenire vicino e lontano, è però evidente che la artificiosa costruzione di una “muraglia cinese” per separare un popolo dall’altro è, dal punto di vista appunto della musica popolare, molto dannosa. Voler rifiutare radicalmente e totalmente ogni influenza straniera, significa la sicura decadenza della musica e del canto popolare” (da Scritti sulla musica popolare).

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Redazione

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