Durante la XIII edizione di “Asiatica: incontri con il cinema asiatico” è stato presentato, fra i film in concorso, l’ultimo film del regista cinese Mao Mao dal titolo A quel tempo, in questo posto.
Titolo originale: Bi shi di ci, 91’, Cina 2011 Titolo inglese: Here, Then Sceneggiatura: Mao Mao Fotografia: Liu Ai-Guo Montaggio: Bu Yang, Feng Zhang-shun Suono: Zhang Yang Produzione: L’Est Films Group Lingua: Cinese Formato:HDCAM Interpreti: Huang Tang Yijia, Li Ziqian, Wang Yizheng, Li Wensi, Cai Jiqiu, Yan Jianguo, Zhao Wei, Tian Xiaoyu, Yue Ding, Zhou LiRegista giovanissimo proveniente dall’ambiente “indie” del cinema cino-asiatico. Nato nel 1975 ha già alle sue spalle numerose esperienze cinematografiche. Recita come attore principale in Winter Storie, di cui ha anche scritto la sceneggiatura, ricevendo il premio come miglior attore alla 29° edizione del Festival of Three Continents a Nantes. A quel tempo, in questo posto ha già vinto al The Edinburgh International Film Festival ed è stato presentato come film in concorso presso il Macro di Roma durante la XIII edizione di Asiatica: incontri con il cinema asiatico, l’otto ottobre 2012.
Per chi non conoscesse la figura di Mao Mao sarebbe facile fraintendere il significato del film. Apparentemente si potrebbe credere che il regista abbia voluto mettere in scena l’alienazione e la spersonalizzazione delle generazioni moderne. Probabilmente è presente anche questa dimensione, ma a nostro avviso soltanto come portato culturale del cinema indipendente e d’autore asiatico. Durante l’intervista collettiva con la stampa, l’autore e regista ha infatti specificato che la scrittura del film è stata fortemente influenzata dalle sue esperienze di vita e soprattutto da un periodo in cui aveva particolari difficoltà nelle relazioni interpersonali.
Per la maggior parte il film è muto e la trama pressoché inesistente. Un gruppo di ragazzi nella campagna cinese vivono nell’impossibilità di sostenere qualsiasi forma di rapporto umano. L’assenza di dialogo permea la scena istaurando uno stato di tensione emotiva che i personaggi non esprimono a parole, ma solo attraverso fisicità e gestualità. La massima spannung si ha quando il protagonista stupra una prostituta incontrata lungo la strada. A circa metà del film la scena si sposta in città, ma anche in questo caso la situazione non cambia, i dialoghi restano scarsi e l’intersoggettivo sembra essere un’utopia irraggiungibile.
Ciò che si impone veramente in questo film è la dimensione figurativa. Ci ha colpito la costruzione dell’immagine filmica e non possiamo esimerci dal plaudire la fotografia di Liu Ai-Guo. Durante il film sono molto interessanti i numerosi long tapes con camera fissa dove l’immagine è totalmente sfuocata e dalle linee di fuori campo i personaggi della scena si inseriscono in un movimento continuo che li terrà a fuoco giusto il tempo che essi attraversano la “corretta” distanza focale. In contrasto con queste scene invece sono quelle che sfruttano la camera a mano mossa per sporcare l’immagine. Il punto focale non è però posto in una critica sociale o politica, ma nel modo in cui l’autore e regista, come singolo, vede il rapporto con l’altro. Il film è allora uno sguardo del tutto personale del regista sul problema dell’intersoggettivo.