Moltissimi i film in concorso al Mash Rome Film Fest 2013. Pellicole dei più svariati generi cinematografici, provenienti da tutto il mondo e proiettate nella sala cinema del Macro e all’Aranciera di San Sisto, si sono susseguite nelle giornate dall’8 all’11 maggio.
O.I. – Outside Inside, di T. Bieseke, De 2011, 8’
Bars & Tones, di Y. Ruda, Il 2012, 8’ 26”
Russian dolls, T. Tsiklauri, Nz 2013, 6′ 06″
Nella categoria Experimental una menzione spetta a O.I. – Outside Inside di T. Bieseke che nella sua pellicola lavora su un concetto corporeo al limite tra la viande – carne da macello – e la flesh – carne. Adottando un punto di vista strettamente antropologico, Bieseke lavora sul corpo e la virtualità evidenziando echi cronenberghiani, in particolar modo il riferimento sembra essere Videodrome. La ripetitività dell’immagine sullo schermo assume contorni contemporaneamente voyeuristici – la donna che si autoriprende, l’uomo sdraiato sul letto – e pornografici. Il finale, con un’uscita quasi alla The Truman Show, apre all’idea che il mondo mostrato finora sia stato semplicemente una realtà parallela.
Bars & Tones apre a un’ulteriore possibilità. Partendo dalle cosiddette immagini di assenza di segnale e proseguendo con affermazioni di Edison, dei fratelli Lumiere e di Muybridge il regista ci propone il concetto di talking picture. È un nudo di Modigliani a parlarci per primo. Vediamo le sue labbra muoversi a tempo con le sue parole e introdurci alla dimostrazione di questa nuova pratica. Siamo quasi sbalorditi. È poi Darwin a dirci che stiamo assistendo a un nuovo processo di evoluzione: «realtime creation of an obscure mutation». Appaiono sullo schermo un autoritratto di Van Gogh, la Nascita di Venere del Botticelli, un autoritratto di Gauguin, uno di Picasso, uno di Leonardo che afferma: «talking picture another link in the chain». Un’altra assenza di segnale apre la strada a immagini dell’universo, a citazioni di Galilei, alla possibilità di riprendere con una cinepresa tra le galassie, alla mutazione dell’occhio. Quello che potremmo definire il terzo episodio si apre con foto di Freud, Dalì, Ginsberg, Poe che marcano una delle evoluzioni culturali e filosofiche maggiori del Novecento, quella della psicanalisi. Una bocca con dietro dei grattacieli, con in sottofondo una musica ipnotizzante, afferma: «Sigmund’s dream is changing the scene». Con il suo impianto formale il film di Ruda vaga tra passato e futuro, evidenziando non la creazione di mondi paralleli come abbiamo visto nel film di Bieseke, ma la perpetua evoluzione della conoscenza umana.
Nella categoria Mashprime interessante Russian Dolls, un lavoro cinematografico a matrioske in cui si parte dalla più piccola, la scena di un film, per arrivare, con un regresso quasi all’infinito passante prima tra vari film e poi tra gli schermi di vari spettatori/attori, prima alla Nuova Zelanda e poi alla Terra nella sua totalità.
Remix is Everywhere è il sottotitolo del Mash Rome Film Fest. Un inno all’iconodulia che non può non riscontrare consensi nonostante l’abbacinamento a cui siamo sottoposti con la maggior parte dei media. Le immagini hanno una loro vita: vivono, sopravvivono, resuscitano, muoiono. Di fronte a così tante opere non si può rimanere di certo indifferenti. La varietà dei lavori proposti non indica tanto che il remix possa diventare una sorta di insalata di riso – tornando al paragone culinario e sebbene il rischio sia evidente – in cui tutti si possono cimentare dicendo la loro e gridando l’artisticità delle loro opere, quanto che il mash up è una possibilità da sfruttare sia esteticamente che eticamente. Se il Remix è ovunque è inevitabile poterlo indicare come una via preferenziale di rinnovamento dell’aisthesis contemporanea, di cui questo bel festival è il primo esempio italiano: Remix is Now.