Teatro dell’Orologio, Romascritto e diretto da Massimiliano Caprara con Michele Bevilacqua, Massimiliano Caprara, Veronica Milaneschi e Giada Prandi musiche originali Stefano Switala light designer Luca Carnevale costumi Daniela Cannella scenografia Tiziana Liberotti assistente alla regia Prisca Rebagliati Liguori fotografa di scena Flaminia Lera 13 dicembre 2015,
Una gabbia custodisce l’ambiente apparentemente tranquillo di un salotto in un appartamento: questo è l’allestimento per la messa in scena di The Carnage, scritto e diretto da Massimiliano Caprara al Teatro dell’Orologio. Attenzione però a non farsi ingannare dal titolo: non ci troviamo ad assistere allo spettacolo scritto dalla drammaturga francese Yasmin Reza e reso celebre dal lungometraggio di Roman Polanski.
The Carnage è un’attualizzazione riscritta dalla mano di Caprara, che ci porta in un ambiente rinchiuso da metaforiche – e realistiche – gabbie sociali, le quali non sono immuni dall’atmosfera di crisi condivisa. Una crisi che non è solo economica, ma di valori, dove la menzogna e il giocare sporco sono all’ordine del giorno. Così il meccanismo perverso nel quale si muovono le quattro maschere dei personaggi in scena – macchiette del reale, bambole di pezza che agiscono e reagiscono secondo schemi contrapposti che non riescono mai ad incastrarsi fra loro – ordisce all’inganno reciproco; incapaci di raccontare se stessi e la propria verità – sociale, figurarsi emotiva –, creano una tensione continua, che non si smorza mai nel corso dello spettacolo. La corda è tesa per tutta la durata dello spettacolo ed anche nei momenti in cui sembra rompersi qualcosa che porterebbe ad una possibile caduta della convenzione, ad un’apertura chiarificatrice, le reazioni sono orchestrate a perfezione, come se i rapporti fra i personaggi fossero stati già stabiliti. Nel DNA di ognuno sta l’incapacità di relazionarsi con il diverso da sé, in un misto di stupore e rabbia repressa nei confronti di chi agisce.
Ed è proprio questo grado di frustrazione, questa impossibilità ad uscire dalla propria gabbia che detta regole sull’agire e che obbliga ad un comportarsi secondo i propri schemi che racconta il disagio odierno: se da un lato sono stati stabiliti i canoni che costituiscono un carattere piuttosto che un altro, quegli stessi diventano una sorta di impedimento e difficoltà all’interno di una società che cambia e che non riesce più a sostenerli. L’inutilità di certi atteggiamenti crea dissonanze in un ambiente ostile, dove sarebbe più intelligente applicare il buon senso unito all’istinto di sopravvivenza, dove ricercare nell’altro un punto di forza che possa rendere alleati e non nemici. Quei pochi barlumi di saggezza attraversano gli sguardi delle due figure femminili – Veronica Milaneschi e Giada Prandi –, che nonostante le diversità ricoprono sempre un ruolo necessariamente malleabile e portato all’adattamento: è forse il vuoto parlare dei compagni rispettivi – lo stesso Massimiliano Caprara e Michele Bevilaqua – a smorzare la voglia di combattere, a incoraggiare dinamiche di fraintendimento. Uno spettacolo amaro, un occhio cinico sulla tendenza sempre più forte a chiudersi in atteggiamenti poco dinamici, che non salvaguardano la comunicazione fra specie, che ci portano in una condizione di solitudine ed impoverimento.