Il 30 giugno, presso la Casa del cinema, nel corso del Med Film Festival, è stato proiettato il documentario Les Ėclats di Sylvain George, film sugli episodi di cronaca più recenti riguardanti le condizioni di vita dei migranti di Calais, nel nord della Francia. La pellicola hai vinto il premio come Miglior Documentario Internazionale alla 29° edizione del Torino Film Festival.
Les Ėclats, di Sylvain George, F 2011, 84′ BN
Produzione: Noir Production, CNC, de la Cooperative Plonniére, Fondation Abbè Pierre
Distribuzione: Paola Cassano, Caterina Renzi
Les Ėclats, ci tiene a specificare il regista, nasce come un diretto proseguimento di Qu’ils se reposent en révolte – suo secondo lungometraggio – grazie a buona parte del materiale accumulato durante le ricerche e che non fu inserito nel lavoro precedente. Il metodo artistico-compositivo di George, ispirato ad alcuni concetti del pensiero filosofico di Walter Benjamin, cerca di affrancarsi da una concezione totalitaria dell’arte – quella che Benjamin definirebbe di politicizzazione dell’arte – basandosi sull’elaborazione di ogni singolo frammento raccolto e che costituisce, in relazione agli altri, un punto di unione che favorisce la nascita di un contesto riflessivo.
L’inchiesta effettuata a Calais dallo stesso George sulle condizioni di vita dei migranti stranieri lascia spazio ad uno scenario saturo di abusi e soprusi da parte delle forze di polizia nei confronti degli extracomunitari, impossibilitati a raggiungere le coste dell’Inghilterra perché ripetutamente braccati e respinti. La macchina da presa si muove fra di essi e documenta i fatti con una focalizzazione esterna, che dà l’impressione di non essere presente. Alcuni raccontano gli stratagemmi adottati per non farsi identificare dalle autorità, ad esempio bruciandosi l’epidermide delle proprie dita con ferri roventi e prodotti chimici, ed episodi drammatici che li hanno condotti ad un passo dalla morte. Risulta interessante a questo proposito anche l’intervento di parte dell’opinione pubblica che si schiera a favore dei più bisognosi con proteste accese nei confronti della polizia, screditandone così l’operato e delegittimandola del proprio compito istituzionale.
In accampamenti fatti di stracci e immondizia, in cui i migranti trascorrono le proprie notti al riparo in condizioni precarie e debilitanti, alcuni raccontano dei problemi politici ed economici che imperversano nei loro paesi d’origine. A seguito dei conflitti di natura ideologica, sociale, politica e religiosa perpetrati da certi politicanti, che sfruttano le risorse del territorio stipulando accordi con i paesi industrializzati a scapito dello sviluppo delle classi meno abbienti, alcuni decidono di partire per l’Europa, costretti a evadere da condizioni di vita tanto insostenibili e animati dal solo desiderio di sopravvivere. Gli stessi accusano di non riconoscersi nemmeno più come esseri umani perché obbligati dalle circostanze a condurre un’esistenza indecorosa, per di più incompresi da un sistema politico coercitivo e che ne impedisce una valida integrazione.
A sostegno dei fatti, il regista dà spazio soprattutto alla potenza delle immagini riprese e a musiche funzionali ai contenuti: il suono di un’armonica che si può udire qui e là fra le scene asseconda magnificamente la portata degli argomenti in questione. Trascurando l’idea di un prodotto fine a se stesso, con Les Ėclats George prende posizione su specifici problemi d’attualità mostrando una sincera sensibilizzazione nei confronti di coloro che Benjamin, probabilmente, definirebbe oggi come i vinti del nostro tempo, riuscendo, al tempo stesso, in un lavoro tecnico misurato coi fini ai quali l’opera è preposta: creare le condizioni per restituire dignità ad una classe sociale affranta e offuscata dal perbenismo della cultura borghese.