A dance in the window di Itai Akira e Behind the door di Adham El-Sherif sono due dei nove cortometraggi realizzati da studenti di cinema e presentati nella sezione Sguardi del futuro del MedFilm Festival svoltosi dal 21 al 30 giugno presso la Casa del Cinema, il MAXXI e il Cinema dei Piccoli.
A dance in the window (Rikud Bav’itrina), di Itai Akira, Israele, 2011, 15’, Sam Spiegel Film and Television School – Jerusalem
Behind the door (Wara El-Bab), di Adham El-Sherif, Egitto, 2012, 21’, Academy of Arts Higher Institute of Cinema – Cairo
Trame e contest differenti, nessun background politico o spiegazione etica: A dance in the window e Behind the door denotano una passione ancora “acerba” per il cinema, ma già sorprendentemente in grado di colpire lo spettatore “più maturo”.
Un uomo distinto si aggiusta il cravattino allo specchio, deve uscire. Una donna, nel riflesso, gli propone di restare a casa, ma lui ricusa: «Non oggi, è importante che vada». Nel breve corto A dance in the window ci si ritrova a seguire quest’uomo dall’espressione accigliata, a chiedersi dove lo condurrà la sua bicicletta e cosa nasconde nella sua borsa. Una vetrina quasi incantata cattura la sua attenzione; l’uomo decide così di entrare per qualche minuto, nel tintinnante negozietto in cui comprerà una particolare statuetta “da regalare”. Ancora silenzio: i dialoghi sono ridotti all’osso e la musica è pressoché assente. Nei movimenti cauti e melanconici dell’uomo si inizia a intravedere la ragione della sua uscita, soprattutto quando, accompagnate da tenui note al pianoforte, subentrano inquadrature di un cimitero. Qui le riprese a mano libera e in movimento lasciano spazio ai primi piani intensi e lenti degli oggetti che il protagonista poggia sulla tomba della moglie, con la quale inizia un’intima e toccante conversazione, versando del vino in due bicchieri. Il regista israeliano emergente Itai Akira sorprende per la veemenza del suo messaggio. Nonostante il suo lavoro escluda effetti speciali, musiche emblematiche e dialoghi esplicativi, il regista riesce a comunicare e raggiungere la profondità dell’anima. E’ coadiuvato, nella buona riuscita del film, soltanto dalla predilezione per tecniche essenziali che trasmettono verità senza filtri, e, probabilmente, dall’esperienza di una morte vicina o lontana nel tempo che dà corposità alla tecnica scarna del narrato.
Allo stesso modo, sobriamente, il regista egiziano Adham El-Sherif acchiappa lo spettatore con la trama curiosa e la lineare tecnica rappresentativa del suo Behind the door, storia di un bambino intrappolato in casa solo con le sue paure a causa di una madre crudelmente autoritaria. Anche qui, dopo l’iniziale monito materno, sono minuti di silenzio, rotti soltanto dal ticchettio di un orologio, da un gocciolio di là in bagno, da un cigolio proveniente dalla stanza buia dove risiede chissà quale mostro. Salta persino la corrente: l’atmosfera orrida catturerebbe lo spettatore, se non fosse già totalmente concentrato sulle azioni e le reazioni di un bimbo indifeso che, in punta di piedi, prova a rubare una sola, proibita, caramella. L’obiettivo della videocamera è solo suo, dei suoi occhi, dei suoi movimenti: tutto il resto è puro contorno. E’ un bambino dalla mimica facciale di grande efficacia espressiva, che rende superflue voci e didascalie. La colonna sonora, inoltre, si riduce a un breve stacco musicale dallo slancio epico per accompagnare il coraggioso bambino-guerriero nella sua missione di combattimento contro i mostri. Nella semplicità di una ristretta location ― gli interni di una villetta ― e nell’unicità del protagonista tanto giovane quanto considerevole, El-Sherif chiude questo piccolo capolavoro infantile nella metafora di un topolino finito in trappola per aver rincorso un pezzo di formaggio, che viene simbolicamente liberato dal bambino.