Epilogo inizia, si dipana e termina come un incubo. Sin dalle battute d’esordio (entrambi distesi sul letto, Sandro, che rimugina sul proprio suicidio, chiede a Mino se preferisca trovarlo già morto o essere presente in quel fatale momento) comincia a calare sulla scena una cappa di claustrofobia emotiva che accompagnerà i due fino all’intuibile, tragico finale.
Claustrofobia emotiva, perché uno dei temi affrontati è quello della bastevolezza dei due amanti a se stessi; perché i due non abbandonano quasi mai il letto, se non per tornare ad abitarlo di lì a poco; perché (come si scoprirà man mano), per via dello squilibrio mentale dell’uno, dovuto alla traumatica esperienza di aver avuto parte attiva in uno stupro di gruppo durante una missione in Afghanistan, l’altro ha scelto, per entrambi, una vita segregata. Un incubo, perché gli elementi esterni che sembrano affacciarsi prepotentemente sulla scena, come il terribile trillo del citofono, in realtà sono proiezioni mentali; perché le continue vestizioni e svestizioni si susseguono lente, metodiche, senza utilità apparente; per la drammaturgia, dal registro troppo alto e quindi artefatto, ipnotico; per la successione delle scene, che fluiscono magmatiche come i sogni, appunto, senza un ordine necessitato.
Una discesa negli inferi di una relazione (che in fondo ha un carattere più universale che omosessuale) in cui aiuta l’intensità degli attori – specialmente il disturbato Mino di Luca Calone – che danno il meglio di sé laddove l’azione scenica si fa più morbida e naturale e i dialoghi assumono un tono naturalistico. Ma quelle sono delle piacevoli e necessarie parentesi, quasi un tirar di fiato, nel mezzo di uno spaventoso scivolamento onirico verso la tragedia che, in un alternarsi continuo di fraintendimenti e recuperi, fatalmente si compie.
EPILOGO
scritto e diretto da Alfredo Vasco
con Luca Calone, Mino Decataldo
dal 24 gennaio al 5 febbraio 2012, ore 20,45
Teatro dell’Orologio – Sala Gassman – Roma