Il confine tra la perseveranza assidua e l’ossessione maniacale è il tema centrale di Misterman, spettacolo con Alessandro Roja andato in scena al Teatro dell’Orologio.
Misterman
Di: Enda Walsh
Traduzione: Lucia Franchi
Regia: Luca Ricci
Con: Alessandro Roja
Voci off: Daria Deflorian, Irene Splendorini, Veronica Cruciani, Giordano De Plano, Andrea Di Casa, Federica Festa, Lucia Franchi, Francesco Montanari
Musiche originali ed effetti sonori: Antonello Lanteri
Produzione: CapoTrave / Pierfrancesco Pisani
Dal 5 al 10 novembre 2013 – Teatro dell’Orologio, Roma
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La convinzione di un uomo di essere nel giusto e la schizofrenica mania a cui questo può condurre. I contorni della storia appaiono indefiniti: si può però immaginare che il protagonista Thomas, interpretato da Alessandro Roja, si sia rinchiuso in una sorta di cantina, per isolarsi dal mondo esterno o per desiderio di suicidarsi. Prima dell’ ipotetica fine, decide di rivivere costantemente il suo ormai patologico tentativo di indicare agli abitanti del suo villaggio la retta via da percorrere.
Con questi personaggi, assenti fisicamente in scena, lui dialoga dunque in via indiretta: ha registrato le loro voci, da quella della madre a quella di una ragazza amata, descritta come un angelo che scatena in lui emozioni molto contrastanti; dal vicino ubriaco alla carnale proprietaria della pasticceria; dal meccanico sempliciotto alla signora alla quale, in un eccesso di rabbia, uccide il cane. Si intuisce da questi monologhi/dialoghi che dopo la morte del padre e la chiusura della sua bottega, lui e la madre si sono ritrovati in una situazione di profonda povertà; ma anziché trovarsi un lavoro, Thomas si è messo in testa di essere un inviato di Dio.
Ciò che dunque più colpisce di questo spettacolo è l’intensità e la maestria con cui Alessandro Roja è stato in grado di incarnare almeno una decina di personaggi senza cambi di scena, senza artifici scenografici, ma soltanto grazie a significativi e azzeccati gesti mimici, poche variazioni di timbro molto efficaci per fare intendere la trasformazione. La scena è praticamente ridotta ai minimi termini: un tavolo, qualche sedia, il vestito del padre posto sul proscenio come ad indicare l’influenza costante di questa figura sulla vita del protagonista, un palo come attaccapanni, ma soprattutto i registratori posti ovunque.
L’attore sfrutta dunque tutte le opportunità che il regista Luca Ricci gli offre, creando infine un vero e proprio gioco metateatrale: il personaggio infatti ripete anche le battute, torna sui suoi passi, spiazza il pubblico che pensa all’errore durante la scena. Invece no, è solo un modo per sottolineare come la giornata terribile in cui si svolge l’intera vicenda sia solo un incubo che si ripete incessantemente.
Bravissimo il protagonista, molto interessanti alcuni spunti di regia come gli effetti sonori creati dalle radio in scena, a volte disturbanti, altre indispensabili per la comprensione della vicenda. Tuttavia questi sono gli elementi che rimangono maggiormente impressi, piuttosto che una totale empatia e comprensione della drammaturgia, che risulta un po’ ostica nella sua inquietudine.