«Non è imparando a far vestiti che li si fa bene -far la moda e creare la moda non è lo stesso-; la moda non esiste solamente nei vestiti; la moda è nell’aria, è il vento che la porta, la si presagisce, la si respira, è in cielo e sulla strada, è dovunque, dipende dalle idee, dalle usanze, dagli avvenimenti». Il credo di Chanel, valido oggi più che mai, è il manifesto programmatico del nuovo libro di Sofia Gnoli. La storica della moda, infatti, procede nelle sue analisi in maniera chiara e lineare, inquadrando lo scenario sociale e culturale del fenomeno moda, ed esaminando i profili di alcuni protagonisti che hanno impresso un segno nello stile del loro tempo.
Nella Parigi di metà Ottocento, con Charles Frederick Worth, si impose la figura del couturier come creatore di fogge, e di conseguenza, nacque l’haute couture. Se fino ad allora i sarti erano costretti a seguire le direttive dei regolamenti di etichetta, e dunque erano relegati al ruolo di semplici esecutori, con Worth il couturier cominciò ad essere considerato un artista. «Le donne che vengono da me, vogliono chiedere la mia idea, non seguire se stesse. Se io dico che cosa è adatto non hanno bisogno di altre evidenze. La mia firma ai loro abiti è sufficiente». Ecco sancito l’ingresso della moda nell’era moderna. Altro importante couturier fu Paul Poiret, che oltre a rivoluzionare la silhouette della donna, inventando la moderna biancheria intima, fu il primo a pensare i suoi défilé come delle vere e proprie performance teatrali.
La Prima guerra mondiale fu una sorta di spartiacque tra la vecchia e la nuova generazione. L’impiego delle donne nell’agricoltura, nell’industria e nel terziario, fece emergere l’esigenza di un tipo di abbigliamento più comodo, consono al diverso ruolo che la donna andava acquisendo nella società. Il grande protagonista di questa stagione è il tailleur, di grosso panno bleu o grigio. Negli anni Venti il nuovo modello di donna emancipata si affermò sempre di più: gli orli delle gonne si accorciano, arrivando a coprire appena il ginocchio, le maniche scompaiono, rendendo giustizia alle braccia, e le lunghe chiome, vecchio motivo di orgoglio, cedono il posto a modernissimi tagli alla garçonne. Migliore icona del suo stile, straordinaria fautrice di una potente mitologia intorno alla sua persona, Coco Chanel ha regalato alle donne l’immortale gonna in tweed e la petite robe noir, il mitico abitino nero.
Parigi, fino ad allora capitale internazionale dello stile, nel 1940 fu occupata dalle truppe tedesche. La maggior parte delle sartorie chiusero i battenti per diversi anni, e il mondo intero si vide costretto a fare a meno delle novità proposte dalla Francia. Nacquero così sia una moda autenticamente italiana, che una inglese e americana. In Italia, viste le ristrettezze imposte dal regime, le donne reinterpretarono il loro guardaroba: ognuna possedeva un abito a giacca – così si usava definire il tailleur – che, a seconda dell’occasione o dell’ora del giorno, veniva modificato con gli accessori. Il vero rilancio della moda francese ci fu con il new look di Christian Dior, che con le sue gonne a corolla dalla linea romantica e sinuosa, rappresentava la felicità ritrovata dopo gli anni bui della guerra.
La moda italiana, diversamente da quella francese, non ebbe mai un unico centro: Roma in virtù del nesso cinema – alta moda, Firenze con Palazzo Pitti, sede delle prime grandi manifestazioni internazionali di moda italiana, e Milano per il nascente prêt-à-porter, diedero ognuna un enorme contributo all’affermazione del buongusto nostrano. In particolare Milano tra gli anni ’60 e ’80 fu, grazie alla sua forte vocazione industriale, la città del made in Italy. La nuova figura professionale dello stilista – ideatore che propone una linea di modelli ad un’azienda a cui è legato da un contratto – e la frammentazione dei canoni stilistici, dalla pulizia di Armani, all’ audacia di Versace, sono state le carte vincenti di questo fenomeno.
La figura dello stilista cede il passo, negli anni ’90, a quella del cool hunter, che studia lo stile di strada per le varie griffe. La moda ormai non si impone più rigidamente, ma diventa facoltativa, rispondendo a regole di funzionamento interno. L’abbigliamento si fa espressione di identità più che di immagine.
Con il nuovo millennio sorge in maniera netta l’ambivalenza insita nella dialettica della moda: accanto al fenomeno tutto nuovo della cosiddetta fast fashion, è nata l’esigenza del ritorno ad una moda sostenibile, che conservi e tramandi il know-how della tradizione artigiana.
MODA. Dalla nascita della haute couture a oggi.
di Sofia Gnoli, Carocci, Roma 2012