Mohamed e il pescatore è una delle piccole grandi storie che il Mediterraneo racconta quando la risacca bacia le spiagge della Sicilia. Proiettato il 9 febbraio al Detour Cineclub in presenza degli autori, questo straordinario racconto di mare, frutto di una fortunata e caparbia ricerca giornalistica, è diventato uno splendido documentario sull’emigrazione, la fratellanza e la condizione dell’uomo. La storia di un ragazzo africano, Mohamed, che torna in Sicilia, sulla costa che l’ha visto sbarcare come clandestino, per rincontrare l’uomo che lo trasse in salvo dalle acque: Vito, un pescatore.
Mohamed e il pescatore, di Marco Leopardi, Ita 2012, 52’
Sceneggiatura: Ludovica Jona, Marta Zaccaron e Marco Leonardi
Montaggio: Giorgio Milocco
Produzione: Quasar Multimedia
Un’antica leggenda di mare narra che se sei un naufrago e riesci a vedere un delfino, allora sei salvo. E questo è anche la storia di Mohamed e il pescatore, una delle tante favole tristi che l’emigrazione per mare può raccontare.
Mohamed è un giovane ragazzo africano, partito dalla Mauritania inseguendo la speranza di una vita migliore. Come molti altri, prima e dopo di lui, viene abbandonato in mare aperto su un gommone da dei trafficanti d’uomini. Dopo cinque giorni e cinque notti passati alla deriva nel Mediterraneo, rimane l’unico sopravvissuto delle quarantasette persone partite con lui. Si sveglia solo, allo stremo delle forze, tenuto a galla da una misera tavola di legno, ancora lontanissimo dalla terraferma. Vede un delfino giocare accanto lui e ritrova un briciolo di speranza. Poco dopo l’incontro che gli salva la vita. Un pescatore di Mazara del Vallo, Vito Cittadino, lo scorge e lo trae in salvo sul suo peschereccio. Mohamed ha poi ottenuto il permesso umanitario ed è finito a lavorare in una ditta di pulizie a Parigi.
La sua triste avventura, avvenuta nel 2007, si è persa nella triste miriade della cronaca d’immigrazione; solo una caparbia e fortunata ricerca giornalistica, condotta da Ludovica Jona, ha fatto in modo che potesse essere raccontata. Mohamed e il pescatore nasce proprio dall’esigenza di raccontare una storia che si ponesse come simbolo positivo tra migliaia di storie simili.
Il documentario prodotto da Quasar Multimedia e co-finanziato dal Fondo Media e Sviluppo della Commissione Europea e dal Fondo per l’Audiovisivo del Friuli Venezia Giulia, racconta il ritorno di Mohamed a Mazara del Vallo dove rincontra Vito, che si offre di insegnargli il suo mestiere e di prenderlo a lavorare con lui. Il giovane mauritano si confronta con la realtà mazarese, da sempre punto nodale dell’immigrazione, incontra altri sopravvissuti ai viaggi della morte, e si ritrova ad inseguire il sogno di diventare pescatore come il suo salvatore.
Splendidamente girato da Marco Leopardi, il documentario alterna interviste dirette a momenti di fiction in cui viene mostrata tutta la commozione dell’incontro tra Mohamed e Vito, non per trasformarla in uno stucchevole dramma a lieto fine, ma per magnificarne tutta la forza universale che sprigiona. La sceneggiatura è stata creata apposta per mettere ancora più in risalto la non-unicità di questa storia. Ogni pescatore di Mazara può raccontare di aver salvato decine di immigrati abbandonati in mare aperto. Così come è tristemente vero che le carte nautiche sono segnate da croci indicanti i “cimiteri”, ovvero luoghi in mare aperto dove i pescatori sanno che le reti non tirerebbero su pesci ma cadaveri di uomini disperati.
L’opera di Marco Leopardi non cerca l’intrattenimento giornalistico, non vuole raccontare una storia di cifre; vuole raccontare una storia di uomini. Per questo il regista ha scelto di non integrare il documentario con filmati di repertorio sugli sbarchi clandestini. Sono immagini a cui il pubblico è ormai assuefatto dal cordoglio centellinato dalla rigida tempistica televisiva. La regia di Marco Leopardi punta a impressionare attraverso la potenza emotiva delle parole unita a quella visiva delle immagini. Le riprese subacquee che mostrano ora una coperta, ora una scarpa posarsi lentamente sul fondale del Mediterraneo, prese da sole, sono metafore più efficaci del racconto stesso. Perché questa è una storia di mare e solo il mare poteva essere in grado di raccontarla.