da Herman Melville
regia Claudia Sorace
drammaturgia sonora e voce narrante Riccardo Fazi
video Maria Elena Fusacchia
musica originale V.L.Wildpanner
produzione Muta Imago, Festival Notafee
27 novembre, Brancaccino, Roma
Muta Imago ha debuttato in prima nazionale con il secondo capitolo della trilogia Racconti Americani al Brancaccino, sala raccolta dall’atmosfera intima, perfetta per accogliere la nuova creazione della compagnia teatrale. Racconti americani è un progetto co-prodotto con il Festival Notafee (Estonia) che ha dato alla luce nel 2015 a Fare un fuoco di Jack London, mette in scena quest’anno Bartleby di Herman Melville e produrrà L’ospite ambizioso di Nathaniel Hawthorne. Le tre storie sono legate dal tema del conflitto.
“Il senso di questi racconti – spiegano Muta Imago – è recuperare, semplicemente, con un linguaggio contemporaneo ciò che costituisce la base del teatro da centinaia di anni: una voce, un racconto e un gruppo di persone intorno ad ascoltarla. In questo senso il lavoro sulle immagini non è di natura diegetica o narrativa: si tratta di un montaggio di sequenze quasi di sogno che accompagna lo spettatore nel suo lavoro d’immaginazione a partire dalle parole del testo.” Ed è proprio questo il senso che arriva allo spettatore: come intorno ad un focolare contemporaneo si ascolta la storia che racconta di Bartleby, un misterioso e inquietante scrivano che un giorno si presenta nello studio di Manhattan di un avvocato grigio – voce narrante, il protagonista che ricorda e racconta – per prendere impiego. L’anziano avvocato, dedito meccanicamente al suo quieto lavoro, sarà sconvolto progressivamente dalla presenza del suo nuovo subalterno.
Gli elementi in scena sono tre: la voce narrante, dei pannelli bianchi rettangolari-che ricordano il tipico landscape di New York – sui quali viene proiettato un video, e la musica trapuntata da un tappeto sonoro fatto di rumori quotidiani. Sobrietà, discrezione ed una linea espressiva sensibile e minimale appartengono al caleidoscopio di percezioni che si vengono a generare da questi pochi elementi. La voce pacata del narratore – assente fisicamente – sembra provenire dai pannelli, sui quali scorrono in una fortunata simbiosi con il testo immagini di grattacieli grigi, dettagli di elementi architettonici – che diventano scenari suggestivi ed espressivamente autonomi. Anche le differenti velocità dell’immagine proiettata diventano un linguaggio che supporta la tensione narrativa. Efficace l’intreccio musicale – eseguito prevalentemente dalle note di un pianoforte – che crea suggestioni sinistre e sembra disegnare lo spazio fisico suggerito dalle parole. Le interruzioni brusche della musica e dell’immagine segnano i nodi drammaturgici: così l’accadimento avviene in un’operazione di sottrazione, che provoca una cascata di immagini interiori quanto mai vivide.
Ed è proprio questa l’operazione più interessante – annunciata e riuscita – dei Muta Imago: attivare voracemente l’immaginario dello spettatore mettendolo in contatto con un vuoto creativo, attraverso il contenitore onirico che hanno creato.