Proiettato al Cinema Aquila mercoledì 27 marzo alla presenza della regista Maura Delpero, Nadea e Sveta narra la storia di due donne emigrate in Italia dalla Moldavia. Il film ha vinto il Premio Cipputi come miglior film sul tema del lavoro al Torino Film Festival.
Nadea e Sveta, di Maura Delpero, Ita 2012, 62′
Soggetto e Sceneggiatura: Maura Delpero
Montaggio: Marcos Pastor e Ilaria Fraioli
Fotografia: Greta De Lazzaris e Pierpaolo Giarolo
Audio in presa diretta: Flavia Ripa
Produzione: Miramontefilm
Distribuito da: Fondazione Cineteca di Bologna
Interpreti: Nadejda Arvinte, Svetlana Stavinschi, Eloiza Clementina Stavinschi
Nadea e Sveta è un documentario di Maura Delpero presentato al Torino film festival e vincitore del premio Cipputi come miglior film sul tema del lavoro. Le due protagoniste sono due donne moldave emigrate in Italia per problemi economici. Nadea ha lasciato i figli ormai grandi, mentre Sveta ha dovuto affidare alla nonna la sua bambina.
Sveta, la più giovane, vive facendo le pulizie, Nadea ormai donna matura, fa la badante ad un’anziana donna con la quale abita. Le loro vite si intrecciano e rimangono consolidate da una forte amicizia che le permette di trascorrere la lontananza dalla propria terra con un’enorme fiducia nell’avvenire. Anche se le due donne vivono un’Italia non del tutto ostile, ma comunque “straniera”, i loro profondi bisogni esistenziali rimangono in Moldavia, assieme ai figli e ai progetti futuri.
Quando Sveta riesce a ricevere i documenti necessari per tornare in Moldavia, dopo circa due anni e mezzo dall’ultima visita, avviene un doloroso momento di separazione. Nadea rimasta ormai sola a Bologna si sente strozzata dalla realtà. Nonostante ciò prova a sorridere ancora, condividendo le gioie dell’amica, continuando a comunicare con lei a distanza. Le loro vite si incontreranno ancora, fino a scambiarsi incredibilmente quasi come un rovescio di medaglia.
In Nadea e Sveta tutto è una silenziosa e fedele ricostruzione di storie, attimi e paesaggi dissonanti, distanti, caratterizzati e viziati da due orizzonti contingenti severamente separati dalla storia: le assolate periferie italiane che celano dietro i candidi tetti bolognesi un’alienazione e una nostalgia asfissiante e dall’altra parte i mastodontici e grigi palazzi Sovietici, contenitori di luci, nidi di fede e speranza.
Nel documentario si avverte una sottile ma lacerante tensione narrativa che affianca senza riserve ogni personaggio. La drammaticità viene dunque lasciata alla ri-costruzione dello spettatore attraverso dettagli e immagini capaci di svelare i profondi stati d’animo legati all’enorme potenza simbolica dei contesti sociali ed umani.
Sono dunque le movenze, le parole sussurrate, gli sguardi tra madre e figlia a dare una dimensione intima, valorizzata da una direzione documentaristica delicata e pacata, in grado di lasciare un importantissimo spazio alla fisicità dei personaggi.
Come ha gentilmente spiegato la regista Maura Delpero dopo la visione, la lunga frequentazione con le protagoniste durata diversi anni tra Bologna e la Moldavia, ha dato vita a un rapporto confidenziale di una naturalezza e spontaneità disarmante davanti alla macchina da presa.
E’ proprio questo il punto di forza dell’opera: un senso della reciprocità e della “con-divisione” ripreso senza filtri, lasciato libero di auto-manifestarsi e di aprirsi allo spettatore con un’autenticità che emana purezza.